Il premier Giuseppe Conte
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Conte si è goduto in parlamento la sua giornata di successo. Comprensibile e legittimo. Senza star lì a fare il pelo alle pulci, non è possibile disconoscere che il premier ha operato con abilità e portato a casa un buon risultato. Lo ha aiutato un contesto favorevole, a cominciare dalla capacità politica di Merkel e Macron: solo un politico superficiale come l’austriaco Kurz può sostenere che adesso non è più il motore franco-tedesco a guidare la musica (semmai si può dire che è diventato tedesco-francese). Ma chi non sa approfittare delle condizioni favorevoli non è un buon politico.
DISCORSO D’OCCASIONE
Conte ha fatto un discorso d’occasione e non lo diciamo in senso negativo: quando si è reduci da quella che potrebbe essere una svolta storica per il nostro paese è naturale celebrarla. Si potrebbe dire che poteva spendersi a prospettare come intende trarre profitto a fondo da questa opportunità e allora non ci sarebbero volute frasi generiche, ma attacchi concreti ai punti dolenti del nostro sistema. Però questo non è nelle corde del personaggio.
Ovviamente non significa che Conte non abbia presente quanto sia arduo il compito. Del resto glielo ha ricordato Mattarella nell’incontro che hanno avuto al suo rientro da Bruxelles. Sarà piuttosto un altro capitolo della tecnica del troncare e sopire che continua ad essere la cifra profonda di questo premier: a Bruxelles puoi andare al confronto duro con gli oppositori (ma hai chi ti guarda le spalle), in Italia non lo si ritiene possibile. Dunque meglio sorvolare, circumnavigare, tanto per ora il pallino è nelle sue mani.
La strategia sarà ancora quella di avocare il compito delicato di far progettare il piano di utilizzo dei fondi che arriveranno, ma a partire da metà 2021 (che ci sia davvero una possibilità di avere anticipi è dubbio), ad un ennesimo comitato tecnico-scientifico che risponda a Palazzo Chigi e lasci i ministeri, le regioni e tutti i soggetti che aspettano di mettere becco nella distribuzione dei fondi nella scomoda posizione di dover interloquire con questo. Se anche il parlamento sarà ridotto in questo ruolo lo vedremo: ufficialmente certo no, ma in quel caso si conta sul fatto che è una sede che può sempre essere tenuta sotto il ricatto della crisi di governo.
UNA PICCOLA SQUADRA
E’ una buona strategia? Certamente non sarebbe sensato mettere la montagna di soldi che devono arrivare nelle mani di un sistema in cui i vari centri decisionali non sanno che litigare fra di loro fino al punto di non riuscire poi a spendere i fondi europei (vedere la nostra storia recente). Però per ricorrere ad un accentramento della portata richiesta sarà necessario compiere un passo che non sappiamo quanto sia nelle corde dell’attuale premier: mettere insieme una squadra piccola e autorevolissima, che però inevitabilmente gli farebbe ombra. Senza contare che non vediamo come riuscirà a sottrarsi alle domande dei partiti della sua maggioranza di averci dentro i loro uomini. Non possiamo non vedere che non è neppure in grado, sull’onda del suo successo, di ridurre alla ragione il grillismo ottuso che continua ad opporsi all’utilizzo del Mes, spiegandogli un fatto banale: quelli sono soldi disponibili subito, mentre il Recovery arriverà, a tranche, a metà dell’anno prossimo e noi dobbiamo far fare adesso un salto di qualità ulteriore al nostro sistema sanitario, perché non c’è alcuna garanzia che una eventuale seconda ondata di Covid aspetti i comodi degli alfieri delle bandierine pentastellate (vogliamo pensare alla sanità al Sud che per fortuna non è stato toccato troppo dalla prima ondata?).
IL FIUTO DI SALVINI
Accanto a questo problema ce n’è un altro che non sappiamo se Conte abbia ben presente. Bisogna far maturare nel paese il consenso al rigore e alla complessità che comporterà il piano di utilizzo dei fondi europei. Qui ce n’è per la maggioranza e per l’opposizione, ma anche per un clima di opinione pubblica che francamente non ci pare maturi sulla lunghezza d’onda necessaria. Ci sono corporazioni da riportare alla ragione, aspettative da smontare, cattivi vizi da cui guarire. Salvini, che per ragioni personali non vuole arrendersi a riconoscere la sconfitta della sua scommessa politica, ma a cui non manca un certo fiuto politico, ha subito trovato lo slogan giusto dal suo punto di vista: vogliono imporci di ritornare alla Fornero.
Quel tema esiste, e non si circoscrive al mettere mano ad un sistema pensionistico che deve essere posto in grado di reggersi. C’è il problema delle politiche attive del lavoro, non riducibile ad un mix di sussidi di cittadinanza (con cui fra il resto non si campa) e di cassa integrazione infinita. C’è il tema della lotta all’evasione fiscale, perché non possiamo certo farci finanziare dalla UE perché una quota di cittadini non paghi le tasse dovute. L’elenco è lungo, ma in gran parte è anche più che noto.
BASTA CON I DECRETI
Dunque bisogna lavorare per preparare il paese a quel nuovo mondo che ci attende, a quel cambio di mentalità e di costumi che sarà necessario (e potrà essere più che positivo). Non si fanno riforme di portata epocale imponendole per decreto da un giorno all’altro. Il fallimento di tanti tentativi che pur sono stati fatti è dipeso anche da questa incapacità di “preparare il paese alle riforme”. Per fare questo è necessario costruire un consenso il più ampio possibile, senza tenere conto di steccati elettorali e di lobbismi di vario genere, comunque mascherati.
La capacità di leadership è quella di mettersi alla testa di questo moto di rinnovamento, trascinandosi dietro le forze politiche, sociali e culturali del paese. Se non si riesce a trovarla non si regge di fronte ad una crisi della portata della grande pandemia del 2020.
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