Il premier Conte durante una riunione degli Stati generali
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Sembra intravedersi il traguardo per la corsa a ostacoli del decreto Semplificazioni: lunedì, in serata, dovrebbe arrivare sul tavolo del Consiglio dei ministri. Anche se c’è chi, forse per scaramanzia, non esclude che l’appuntamento possa slittare a martedì mattina. Il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, è tra questi: «Stiamo cercando di fare il miglior lavoro possibile, meglio prendersi un giorno in più per completarlo piuttosto che arrivare con un provvedimento che può essere carente in qualche fase».
FRONTE EUROPEO
Insomma, meglio essere prudenti perché alcuni nodi restano sul tappeto, e a scioglierli non sembra sia bastato il “rinnovo” dell’accordo politico ad opera del premier Giuseppe Conte e del segretario Pd, Nicola Zingaretti, concordi sulla necessità di fare in fretta.
Anche perché l’Europa sta sta a guardare: la “madre di tutte le riforme”, come il premier suole ormai definire il provvedimento, è essenziale anche alla luce del Recovey plan italiano, da presentare a Bruxelles a settembre, cui sono legati i fondi del Next Generation Eu. E con il decreto Semplificazioni, lunedì – o martedì – è atteso anche il Piano nazionale delle riforme (Pnr), il documento che in genere si accompagna al Def e che il governo italiano deve presentare all’Europa.
Il pre-Consiglio fiume convocato nel pomeriggio di giovedì è andato avanti fino alle due di notte: si continuerà a lavorare nel weekend a livello sia politico sia tecnico per trovare l’intesa.
LE DISTANZE
Le distanze ci sono ancora, e non solo tra le diverse forze di maggioranza, ma anche all’interno dei partiti. I 5 Stelle, infatti, restano divisi tra l’ala governista, convertita sulla strada del realismo che l’urgenza della situazione economica impone, e quella parlamentare più “conservatrice”, cioè meno incline ad abdicare ai dogmi della “trasparenza” e della “legalità” sbandierati nelle piazze dall’era del vaffa day, poi nelle aule parlamentari ai tempi dell’opposizione.
I 5 stelle di governo insieme a Italia Viva continuano a spingere per estendere il Modello Genova per le opere considerate di rilevanza strategica, bypassando il codice degli appalti per un periodo transitorio, e arrivare alla definizione di un elenco da inserire in un Dpcm, o anche in un decreto del Mit, prevedendo supercommissari – cari a Iv – e ampi poteri di deroga in capo alle stazioni appaltanti.
Dall’altra parte, Leu e Pd continuano a difendere il codice da quelli che considerano tentativi di smantellamento o aggiramento attraverso le deroghe generalizzate, sostenendo che il testo normativo considera comunque la possibilità di attivare procedure più snelle: il riferimento è all’articolo 63 che prevede la possibilità di affidare lavori senza gara in caso ricorrano motivi d’urgenza, che per il Pd riguarderebbero solo le opere sanitarie.
CINQUE ANNI DI INERZIA
Del resto, il codice degli appalti – come l’Anac, che in questa battaglia si è schierata a favore del Nazareno – porta la firma dell’allora ministro dell’Infrastrutture, Graziano Delrio, nel governo guidato da Matteo Renzi (era il 2016), ora sul fronte opposto. E Delrio, in prima linea nella strenua difesa della normativa, chiama a supporto i dati e sostiene che dalla sua entrata in vigore si sono aperti più cantieri.
I numeri riportati da Il Quotidiano del Sud dicono cose diverse: in Italia, dal 1985 al 2001, per investimenti in grandi infrastrutture strategiche sono stati spesi circa 8 miliardi, mentre dal 2001 al 2014, grazie alla legge Obiettivo, sono state affidate opere per 118,4 miliardi (di cui 46 per interventi già completati, ulteriori 51 in corso di esecuzione e la parte restante in corso di affidamento).
Dal 2015, invece, si è proceduto solo al completamento di opere già approvate dalla legge Obiettivo, per un valore globale non superiore ai 6,2 miliardi di euro. Quindi, negli ultimi 5 anni, non è partita nessuna nuova opera e la spesa è stata minima e solo di “trascinamento”.
La lista delle opere da mettere sulla corsia preferenziale potrebbe aprire un nuovo fronte, dal momento, si sostiene, che quelle che vi verranno inserite sono deputate a delineare un’idea di sviluppo del Paese. E su questa idea sarà necessario trovare una sintesi. Non a caso nel corso del pre Consiglio il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, ha reclamato l’inserimento di una “quota Mezzogiorno”, riaffermando la necessità di accelerare sulla sblocco e la dotazione infrastrutturale del territorio.
Un’intesa sembra essere stata raggiunta sull’abuso d’ufficio. Iv ha mantenuto la sua posizione, ovvero la richiesta di stralcio dal decreto, ma la visione prevalente tra le forze di maggioranza ha portato a circoscriverlo, rendendo punibili solo le violazioni di specifiche regole previste dalle leggi – o atti equiparati – compiute dal funzionario.
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