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Un Paese dove crescono povertà e divario fra Nord e Sud. Un paese che “non riesce a pensare al proprio futuro” e che esprime “una persistente e uniforme bassa fecondità”. Un Paese in cui, a metà 2020, il quadro economico e sociale “si presenta complesso e incerto, dove al rallentamento congiunturale del 2019 si è sovrapposto l’impatto della crisi sanitaria e, nel primo trimestre, il Pil ha segnato un crollo congiunturale del 5,3”%.

Sono alcuni degli highlights del Rapporto Annuale Istat 2020, che ha fotografato la situazione italiana nel 2019 spingendosi con l’analisi al post lockdown nel 2020, fino a maggio scorso, con un focus su 5 aree: 1) Il quadro economico e sociale; 2) Sanità e salute di fronte all’emergenza Covid; 3) Mobilità sociale diseguaglianze e lavoro; 4) Il sistema delle imprese – Elementi di crisi e resilienza; 5) Criticità strutturali come possibili leve della ripresa: ambiente, conoscenza, permanente bassa fecondità. Inflazione negativa, calo degli occupati, marcata diminuzione della forza lavoro e caduta del tasso di attività, sebbene si accenniuna prima risalita del clima di fiducia, sono alcuni dei segnali che si manifestano. Le recenti previsioni Istat stimano per il 2020 un forte calo dell’attività economica (-8,3%), diffuso a tutte le componenti, con una contrazione del Pil che sarà solo in parte recuperata nel 2021.

Dal Rapporto 2020 emerge l’ennesimaconferma del fenomeno delle disuguaglianze crescenti nel mercato del lavoro all’epoca pre-pandemiaal Sud,e la difficoltà, assai più spinta delle famiglie del Mezzogiorno, a conciliare tempi di vita e di lavoro, per la grave carenza di servizi all’infanzia. Sulla povertà assoluta e le disuguaglianze nel mercato del lavoro – ha affermato il Presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, presentando ieri il Rapporto alla Camera dei Deputati –“l’Italia è entrata nell’emergenza COVID-19 dopo aver vissuto un periodo di costante peggioramento della situazione. A seguito della crisi del 2008-2009, l’incidenza della povertà assoluta è raddoppiata nel 2012, triplicandosi per bambini e giovani, e peggiorando ulteriormente nel Mezzogiorno e per le famiglie operaie e con capo famiglia disoccupato”.

Disuguaglianze aumentate fino al 2019, anche nel mercato del lavoro. Gli uomini, i giovani di 25-34 anni, il Mezzogiorno e i meno istruiti non hanno ancora recuperato i livelli e i tassi di occupazione del 2008. Le criticità maggiori oggi toccano i servizi, in particolare il turismo e la ristorazione, dove più diffusa è la presenza femminile, spesso precaria e irregolare. Crescita del part time involontario e segregazione di genere delle professioni accrescono le diseguaglianze che subiscono maggiormente giovani, donne e Mezzogiorno. Nel 2019 il numero di occupati ha superato di 519mila unità il valore del 2008 nel Centro-nord mentre nel Mezzogiorno il saldo è ancora negativo di 249mila. Tra i giovani di 25-34 anni gli occupati sono oltre 1 milione e 400mila in meno. Ancora una volta, sul piano della qualità del lavoro, aumentano le diseguaglianze a svantaggio delle donne, dei giovani e dei lavoratori del Sud, che più spesso sono lavoratori a tempo determinato e a tempo parziale, con posizioni lavorative ad alto rischio di marginalità e di perdita del lavoro.Nel 2019 suquasi 940 mila lavoratori con orario ridotto e contratto a tempo determinato, il 33,5 per cento è nel Mezzogiorno.

Oltre al divario occupazionale, al Sud morde il divario dei servizi per l’infanzia e quello tecnologico.Durante il lockdown, l’incidenza del lavoro da casa è stata più frequente tra le donne che tra gli uomini -24% contro il 17% a maggio – e nel Centro-Nord più diffusa rispetto al Mezzogiorno (22% rispetto al 15%), ma per le famiglie del Sud la conciliazione dei tempi di lavoro e cura della famiglia è più ardua.

L’offerta diseguale sul territorio e carente al Sud di nidi e servizi integrativi, scoraggia la partecipazione delle donne al lavoro e penalizza i bambini delle famiglie meno agiate e sul Mezzogiorno. i posti disponibili nei nidi e nei servizi integrativi, pubblici e privati, in media sono accessibili per meno di un bambino su 6, non arrivando a coprire il 15% dei bambini fino a 3 anni di età.

Al Centro Nord, in cinque regioni il nido è accessibile per oltre un bambino su 3 – ovvero per il 33% dei piccoli, come obiettivo europeo per il 2010. La carenza di servizi all’infanzia nelle regioni meridionali spinge ad anticipare i tempi del percorso scolastico, con iscrizioni precoci all’asilo e alle elementari. Gli anticipi alla scuola primaria riguardano il 16% dei bambini di 5 anni nel Sud contro il 3,4% di quelli del Centro-nord. Riguardo ai ragazzi in età scolare, alle prese con la Dad durante il lockdown, la mancanza di dotazioni informatiche adeguate costituisce un ulteriore elemento di divario fra le famiglie del Nord e del Sud, accentuata dallo stato socio-economico delle famiglie. La percentuale di ragazzi che nonha né un computer né un tablet a casa raggiunge nel Mezzogiorno il 19 per cento (a fronte di un 7,5 per cento nel Nord e 10,9 per cento nel Centro), e aumenta al decrescere del livello diistruzione dei genitori, arrivando al 25,6 per cento se nessuno dei due è andato oltre la scuoladell’obbligo.


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