Un gruppo di giovani
5 minuti per la letturaLe ultime rilevazioni dei maggiori centri di ricerca, compresi i rapporti regionali di Banca D’Italia ed il rapporto Istat, non possono che denunciare una situazione difficile già prima della pandemia, con un Sud in rallentamento e certamente con tassi di crescita inferiori a quelli del Centro Nord. Infatti contro una crescita media nel 2019 dello 0, 3% del Pil, nel Nord Est é pari allo 0,5%, nel Nord-Ovest pari allo 0,4%, mentre il Centro ed il Mezzogiorno sono fermi allo 0,2%.
Andamento conseguente se non ancor peggiore quello dall’occupazione, che vede incrementi molto contenuti ed ovviamente inferiori nel Sud. Peraltro questa area non ha ancora recuperato i livelli del 2008.
La domanda che viene spontanea quando si legge un rapporto sulla situazione economico sociale del Paese è sempre la stessa: considerato che i Paesi sono due per reddito pro capite, per infrastrutture, per reti di alta velocità ferroviaria, per addetti in agricoltura e nell’industria manifatturiera, per export pro capite, per tasso di povertà, per dispersione scolastica, per funzionamento dell’ascensore sociale, per asili nido per abitanti, qualcuno potrebbe pensare non opportuno un rapporto unico. Cioè che forse é necessario che i rapporti anche dell’Istat o della Banca d’Italia siano due, in pratica ripetere quello che fa Svimez per il Sud e farlo anche per il Centro Nord.
La seconda domanda che sorge spontanea é quale senso hanno le indagini congiunturali che confrontano gli andamenti di due realtà che hanno punti di partenza completamenti diversi? E come essere in una classe di 30 alunni di una scuola elementare, con 10 che ancora non riconoscono le lettere dell’alfabeto e fare una relazione nella quale si dice che i 20 più bravi hanno incrementato le loro conoscenze e che anche quelli più indietro sono cresciuti di una percentuale un po’ più bassa, ma sempre positiva. Dimenticando che la crescita degli ultimi riguarda il fatto che invece di riconoscere 5 lettere adesso ne riconoscono 10. Mentre gli altri sono riusciti a leggere un testo medio.
Ma al di là delle domande di sistema la ventottesima edizione del Rapporto Annuale sulla situazione del Paese dell’ISTAT é come sempre molto approfondito e per tanti aspetti esaustivo. Il nostro Istituto é riconosciuto a livello europeo come uno dei più titolati ed i metodi utilizzati, per esempio per rilevare il sommerso, sono utilizzati da più paesi. In particolare quello presentato ieri fa riferimento alla cronaca degli ultimi mesi e lo scenario venutosi a creare con l’irrompere dell’emergenza sanitaria e verifica gli effetti sulla società e sull’economia dell’Italia. Rappresenta e analizza i cambiamenti in atto, partendo dalle informazioni raccolte nel periodo più critico, anche attraverso indagini specifiche presso le famiglie e presso le imprese. Dedica un’attenzione particolare all’impatto dell’epidemia sulla mortalità, alla situazione del Sistema sanitario nazionale. Analizza la mobilità sociale, mettendo in evidenza come l’ascensore sociale nel nostro Paese sia bloccato al piano delle disuguaglianze di genere e generazionali e l’evoluzione del mercato del lavoro, rilevanti per comprendere il tessuto su cui si innesta la crisi in atto.
Analizza sia i punti di forza sia le fragilità del sistema delle imprese, individuando i possibili effetti immediati della recessione, lavoro molto complesso per due aree così differenziate, una che vuole competere con la Baveria/ Renania e l’altra che ha un tenore di vita inferiore a quello greco. Infine, il Rapporto riprende alcuni temi al centro dell’agenda nazionale e internazionale – la natalità, lo stato dell’ambiente, il capitale umano – che corrispondono a criticità ineludibili, soprattutto in un’ottica di investimento per il futuro. Ma vi é una parte molto interessante del rapporto nel quale l’Istituto invita a guardare alle criticità strutturali del Paese come “leve della ripresa”. Poche parole per dire in modo molto chiaro che bisogna investire nel Mezzogiorno. Perché il vero disastro del nostro Paese é quello che riguarda l’occupazione nel Sud, nel quale con 21 milioni di abitanti, lavoravano soltanto in 6 milioni e centomila prima dell’effetto Covid.
Adesso dare dati statistici sul tasso di disoccupazione é molto complicato. Le buche ed i crepacci li vedremo quando la neve si scioglierà, cioè quando si potrà licenziare e non si avrà la cassa integrazione in deroga. Ma certamente non si ha idea di come creare quei 3 milioni di posti di lavoro che mancano all’appello. Qualcuno immagina di dare a tutti coloro che non ce la fanno un reddito di cittadinanza preferendo la soluzione di dare un pesce al giorno piuttosto che insegnare a pescare. Forse sapendo che se insegni qualcosa viene messo in discussione il tuo ruolo. Qualcun altro pensa di mandare i suoi elettori prima possibile in pensione, in maniera di assicurarsi fasce importanti di consenso.
Il risultato è che, ce lo dice il rapporto, “nell’ultima generazione la quota di giovani maschi che ha sperimentato forme di mobilità discendente supera la quota di quelli in senso ascendente. Insomma i nostri figli non si potranno consentire il tenore di vita che ci siamo permessi noi, visto che dovranno pagare i debiti dei quali la nostra generazione ha goduto.
Anche le giovani donne loro coetanee subiscono un peggioramento delle possibilità di ascesa rispetto alle generazioni precedenti ma, a differenza di quanto avviene per i maschi, esse presentano un tasso di mobilità sociale ascendente superiore a quello di mobilità discendente. Ma quello che il rapporto non dice e che deve dire in modo chiaro il Governo, cosa che finora non ha fatto, é quale idea di Paese vuole immaginare, al di là degli Stati generali, soprattutto per il Sud. Se vuole che resti la colonia dove localizzare le produzioni inquinanti e seppellire i rifiuti tossici prodotti al Nord, e avere una riserva di manodopera da chiamare quando serve, o se vuole unificare il Paese, ma non nel sottosviluppo come pare si stia facendo.
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