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I banchi vuoti del governo

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Le bozze del decreto Semplificazioni cambiano di ora in ora. I principali nodi da sciogliere sono le questioni del danno erariale, dell’abuso d’ufficio e dei commissari per singole opere con poteri speciali. La battaglia è tutta politica e fortemente ideologizzata dal M5S e dal Pd, che su questo provvedimento si stanno giocando gran parte dei consensi.

Per quanto riguarda il Partito democratico la posta è ancora più alta perché c’è in ballo il futuro della segreteria di Zingaretti. Il Pd ha chiesto di restare sul solco del Codice degli appalti, mentre i 5 Stelle hanno come propria stella polare il modello Genova. Il mantra del governo è di disboscare ogni ostacolo burocratico che crei lentezze nell’avvio dei cantieri.

I RIFLESSI EUROPEI

In gioco c’è anche il rapporto con l’Europa. Il decreto è la madre del piano di riforme che la Ue ci chiede per velocizzare l’approvazione del Recovery Fund ancora fermo per l’opposizione dei Paesi “frugali”. Un “accordicchio” al ribasso sul tema nevralgico delle grandi opere sarebbe un segnale negativo e darebbe forza allo scetticismo di una certa parte d’Europa che ha l’immagine dell’Italia “cicala”. Le infrastrutture, in un sistema di interconnessione europeo, sono sicuramente un tema che travalica l’interesse nazionale.

Per la questione del danno erariale, la bozza di riforma prevede una soluzione ancora non soddisfacente. L’unico responsabile dell’apertura dei cantieri diventerebbe il funzionario della Pubblica amministrazione che ha in mano i fascicoli per gli appalti. Tutto il decreto Semplificazioni, quella macchina colossale che secondo il premier Giuseppe Conte dovrebbe rivoluzionare il vecchio codice dei lavori pubblici, sembra ruotare attorno a quell’impiegato del Comune o della Regione, comunque della Pa che deve mettere la sua firma per far aprire i cantieri. Il condizionale è d’obbligo perché il testo è ancora in elaborazione e le doglie di questo parto sono dolorose, come è emerso dai continui rinvii.

IL RUOLO DEI FUNZIONARI

Ma torniamo al funzionario pubblico. Costui ha sei mesi di tempo per far avviare i lavori. Se “perde tempo” rischia grosso, nientemeno che il danno erariale per inerzia. È quanto prevede il comma 1 dell’articolo 2 del decreto. Questo timing riguarda non solamente o l’aggiudicazione definitiva, ma anche la stipula del contratto e l’avvio del cantiere. Tutte operazioni, specialment e le ultime due, per le quali normalmente ci vogliono più di sei mesi.

L’articolo in questione dice che «il mancato rispetto dei termini, la mancata stipulazione del contratto e il tardivo avvio dell’esecuzione dello stesso possono essere valutati ai fini della responsabilità del responsabile unico del procedimento per danno erariale». Questo reato, indicato come fattore frenante per gli appalti, sarebbe quindi conservato ma circoscritto alla capacità del funzionario di essere più o meno veloce nel mandare avanti una pratica.

L’impiegato verrebbe bastonato in caso di inerzia, cioè se tra uno step e un’altro del complesso iter finalizzato all’apertura di un cantiere, prendesse tempo. In base all’articolo 15, la responsabilità erariale resta perseguibile per colpa grave in caso di «danni cagionati da omissione o inerzia», mentre viene limitata al dolo in caso di azione (venga cioè firmato un atto). In questo secondo caso ci sarebbe il nuovo “controllo concomitante” della Corte dei conti, che dovrebbe appurare ritardi o inerzie, per esempio nella «erogazione di contributi o trasferimento di risorse a soggetti pubblici o privati destinati al finanziamento di spese di investimento».

Ma è sufficiente circoscrive la responsabilità erariale a quella che il legislatore definisce «inerzia» per accelerare l’avvio dei lavori? Secondo vari operatori del settore, le cose non sarebbero così semplici. Se non si snelliscono le procedure come può un funzionario essere veloce nel mandare avanti le pratiche? O chiude tutti e due gli occhi e firma anche a rischio di incorrere in altri procedimenti giudiziari qualora in seguito qualcosa dovesse andare storto nel cantiere oppure resteremmo al punto di partenza. Il dipendente pubblico dovrebbe muoversi su un terreno molto scivoloso.

IL CROLLO DEI LAVORI

Ma il dibattito è ancora aperto e la sintesi pare lontana. Intanto la situazione di immobilismo si aggrava. Il Covid ha congelato il settore delle grandi opere e mai come adesso servirebbe un vero e proprio colpo d’ala per riavviare il motore. Nella Relazione annuale presentata alla Camera, l’Autorità nazionale anticorruzione ha evidenziato che nei quattro mesi della pandemia sono andati persi lavori per 19 miliardi.

Se nel 2019 il valore complessivo degli appalti pubblici si è attestato a 170 miliardi, in crescita del 23%, l’emergenza Covid ha cambiato completamento lo scenario. Nel primo quadrimestre del 2020 gli appalti sono scesi del 24 per cento per numero e del 33 per cento in valore, pari a 18,6 miliardi di euro in meno. La più colpita è la Lombardia (-63%, pari a una flessione di circa 10 miliardi), mentre alcune Regioni nel primo quadrimestre 2020 hanno fatto addirittura registrare dati positivi, come il Lazio (+14%, pari a 550 milioni). Ben 22mila procedure di gara, per un valore di 23 miliardi, sono rimaste congelate allo stadio della pubblicazione del bando o della lettera di invito.


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