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Avete mai visto un frugoletto di anno uno/due interagire in una conferenza (anzi oggi si dice “webbinar”) sul tema della genitorialità? Ecco. C’è qualcosa di irreale, di magicamente spiazzante nella diatriba che, in questi ottenebranti giorni di Coronavirus, sta coinvolgendo il Comune di Milano e i 155 asili nido convenzionati della città. I quali accolgono circa 1700 bambini esclusi dalle graduatorie dei nidi comunali.

Certo, quando di tratta di soldi, siano essi destinati alle imprese, alle partite Iva o alle scuole, la burocrazia è un baluardo invincibile, specie a favore di chi deve scucire. E qui, a Milano, ora, gli asili alla canna del gas, in cambio delle dovute sovvenzioni, hanno ricevuto da Palazzo Marino -la sede del municipio- un’inevitabile proposta “di coprogettazione di didattica a distanza”; ossia l’invito ad organizzare, come conditio sine qua non, programmi a distanza di “video letture, video lezioni su tema delle famiglia, videoconferenze a distanza”. Cioè: per avere i contributi previsti devi fare partecipare a lezioni a distanza. Ora, in condizioni normali non ci sarebbe nulla di male. Anzi. La scuola ha il dovere inderogabile di inchiodare davanti ai loro doveri scolastici i propri alunni bloccati in casa dal contagio.

Ma, in questo caso, non parliamo né di scuola media, né di scuola elementare, e neanche di scuola materna in cui già i bimbi mostrano -com’è naturale- il grado di attenzione di un criceto. No. Qui parliamo di asili nido, ossia di istituti scolastici abitati da bambini dagli zero ai due anni e mezzo. Fare lezioni in smart working ai bimbi del nido, che a malapena trattengono i rigurgiti da pappetta, si rotolano tra pupazzi di gommapiuma o si arrampicano sulle cullette, bè, non solo è un idea farraginosa del servizio pubblico. E’ soprattutto, un’iniziativa, oseremmo, kafkiana. Ma, se gli asili accettano di far avvitare i piccoli al pc in collegamento da remoto, potranno ben ricevere un corrispettivo pari a circa al 50% dei 600 euro di retta mensile da convenzione. Fondi che arriveranno, però, solo se il nido non usufruisce di altre misure di sostegno come la cassa integrazione. Certo, interpellati, i compilatori della suddetta bizzarra proposta ventilano che più che ai figli essa sia destinata ai genitori; i quali genitori però, specie di questi tempi d’epidemia, hanno ben altro da fare che sorbirsi dibattiti pedagogici via web per i figli under 3 anni.

Risultato? Soltanto 22 dei 115 nidi hanno accettato l’offerta delle “lezioni a distanza”; gli altri hanno gentilmente declinato perché “la natura pedagogica del nido si fonda su un contatto umano non sostituibile”. Un modo elegante per commentare l’assurdità del caso.

Senza considerare che, a Milano e in Lombardia, la situazione degli asili nido è allo stato di guerra: diversi meditano la chiusura; alcuni cercano di vendere le strutture; altri ancora sono stati addirittura contattati dagli sportelli antiusura perché corrono il rischio di essere considerati “categoria a forte rischio di indebitamento”. Ora, è ignoto il motivo per cui, nonostante derrate di circolari regionali, il Comune non riconosca ai nidi convenzionati il 100% dei contributi previsti dalla legge buona-scuola. Anzi, gli uffici del sindaco Beppe Sala, pur riconoscendo “le difficoltà dei gestori dei servizi di prima infanzia” rimpallano la responsabilità sugli uffici del governatore Attilio Fontana (“Usino i fondi-gratis”). Il vero problema è che la palude burocratica risulta, da sempre, lo strumento migliore per evitare che le casse si schiudano e i soldi finiscano direttamente nelle tasche dei cittadini. Se sono cittadini con ciuccio e pannolino, poi, la situazione assume -come dire- una dimensione oltre che grottesca, favolistica…


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