Un terreno coltivato
4 minuti per la letturaSi fa presto a dire liquidità. Ottenere la benzina finanziaria necessaria per il motore delle piccole e medie imprese messe in ginocchio dall’emergenza Covid 19 è una corsa a ostacoli, come ha ampiamente e dettagliatamente documentato questo giornale analizzando il nuovo decreto varato dal Governo. E se per tutto il sistema imprenditoriale, in particolare del Mezzogiorno dove si scontano le maggiori debolezze, ottenere credito in base alle nuove regole introdotte dal Governo con garanzie pubbliche e istruttorie accelerate (almeno sulla carta) si sta rivelando un’impresa titanica, per le aziende agricole le difficoltà sono ancora maggiori. E’ vero che il decreto liquidità ha cancellato alcuni steccati, soprattutto l’obbligo di presentare i bilanci che oltre il 95% delle Pmi agricole non redige, ma restano le criticità storiche nei rapporti banca-impresa agricola.
La cancellazione delle sezioni agrarie degli Istituti (che solo qualcuno in questi ultimissimi anni ha tentato di ricostituire) ha infatti tagliato quel filo che univa l’agricoltore allo sportello. Finita la specializzazione anche l’agricoltura è rientrata nel calderone generale con condizioni diverse però dalle altre imprese che dispongono di documenti valutabili dalle banche e soprattutto possono programmare le loro attività. Al settore agricolo basta un evento climatico estremo (diventato molto comune negli ultimi anni) o l’impennata della produzione di grano in una qualsiasi parte del mondo per ribaltare il quadro economico. La pandemia, con la chiusura dei canali della ristorazione, degli agriturismi e lo stop dell’export, ha aggravato la situazione e così oggi, ha calcolato la Coldiretti, quasi il 60% delle imprese ha fame di credito.
Il Governo ha aperto i canali anche alle aziende agricole, ma certo i tempi non sono immediati e serve comunque un confronto con gli istituti bancari che i loro controlli li fanno. E se non sono i 19 documenti richiesti da qualche istituto ,smentiti in audizione al Parlamento dal ministro dello Sviluppo economico, Patuanelli, certo ottenere anche una linea di credito di entità minima non è automatico. Per l’agricoltura c’è un altra via, quella dell’Ismea, che negli anni ha assunto la connotazione di una merchant bank, con garanzie prestate (finora) però a prezzi di mercato. L’Ismea è inserita nel decreto liquidità con uno stanziamento di 100 milioni. L’obiettivo è di fornire un accesso al credito su misura del settore. L’Istituto che fa capo al Mipaaf dispone di un pacchetto di interventi ai quali se se sono aggiunti altri per il Covid 19.
Per il sottosegretario alle Politiche agricole, Giuseppe L’Abbate, il sistema per le aziende agricole con il doppio binario Fondo di garanzia- Ismea ha le condizioni per funzionare. “E’ stato un intervento importante – ha spiegato L’Abbate- aver modificato le modalità di accesso al Fondo garanzia al quale le aziende agricole potevano accedere solo attraverso i Confidi. Ora invece la richiesta è diretta. Con l’Ismea poi c’è l’opportunità di ottenere prestiti con garanzie gratuite al 100%”.
Negli ultimi due anni, comunque, nonostante i servizi dell’Ismea, c’è stata una flessione dei prestiti evidenziata proprio dall’ultimo report dell’Istituto sull’andamento del settore. In particolare l’ultimo dato relativo alla fine del 2019 segnalava una flessione dello stock dei prestiti alle aziende agricole e del settore agroalimentare rispettivamente del 3,1 e del 2% rispetto all’anno precedente. Dopo una ripresa e un andamento in controtendenza rispetto a quello economico generale,da quasi due anni gli impieghi bancari ( poco meno di 40 miliardi per il settore agricolo e 30,7 per l’agroalimentare) sono tornati su terreno negativo. Questo il contesto in cui si inserisce l’emergenza Coronavirus. In gioco – spiega il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini – c’è una filiera allargata che vale oltre 538 miliardi che sta dimostrando il valore strategico in questa drammatica situazione, ma proprio il Coronavirus ne sta anche mettendo a nudo tutte le fragilità. E la carenza di liquidità è uno degli elementi che crea maggiore preoccupazione.
Un supporto arriva anche dalla Rete AgricorporateFinance che svolge una funzione di intermediazione finanziaria a favore dell’agroalimentare e può presentare in nome e per conto delle aziende agricole le istruttorie alle banche. Uno “sportello” agricolo in grado di dialogare “alla pari” con gli istituti di credito e che può quindi aiutare l’agricoltore a superare gli ostacoli nell’accesso ai mutui.
Accanto al nodo- credito resta quello del lavoro, due questioni che viaggiano in tandem. Secondo L’Abbate una via di uscita c’è. La banca dati Inps censisce oltre un milione di lavoratori agricoli impiegati ogni anno e di questi 450mila non raggiungono le 51 giornale, il tetto minimo che consente l’accesso agli ammortizzatori sociali. Un obiettivo a cui quindi i lavoratori tendono. “Stiamo mettendo in piedi- spiega il sottosegretario del Mipaaf- un portale pubblico Inps- Anpal (Agenzia nazionale politiche attive del lavoro) di facile utilizzo per imprese e lavoratori che consenta a questi ultimi di arrivare almeno a 51 giornate annuali. Si tratta di lavoratori conosciuti che sono stati già impiegati e che hanno dunque le competenze necessarie. Con il ministro del Lavoro, Catalfo, poi – conclude L’Abbate – stiamo anche mettendo in campo un provvedimento che consenta in tempi brevi a coloro che percepiscono il reddito di cittadinanza, ai disoccupati e chi è in Cig di lavorare in agricoltura senza perdere alcun diritto. Non voglio entrare nella questione voucher, non mi interessa come vogliamo chiamarlo, è importante garantire il lavoro necessario”.
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