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Palazzo Chigi, sede del governo

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Le imprese sono alla canna del gas e i soldi previsti nel decreto per assicurare la liquidità in vigore dall’8 aprile scorso non sono ancora arrivati a nessuno. Nonostante le rassicurazione del governo su adempimenti semplici e veloci, il decreto ha un’articolazione complessa, procedure diversificate a seconda dell’entità dei finanziamenti che si chiedono e del fatturato delle imprese: insomma, anche in questa circostanza tragica la burocrazia ha la meglio. In più una sorta di “collo di bottiglia” sembra essere rappresentato dalle banche che faticano a stare dietro alle attività a cui sono chiamate per attuare il decreto “Cura Italia” (devono anticipare le risorse per la cassa integrazione) e il decreto liquidità.

I RITARDI

Nelle ultime ore qualche passo avanti è stato fatto e solo da ieri gli istituti di credito possono inserire nella piattaforma del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese le richieste di finanziamenti fino a 25.000 euro con la garanzia al 100%. In questo caso il finanziamento, secondo le previsioni del ministero dello Sviluppo economico, dovrebbe avvenire quasi in automatico, senza la valutazione del merito di credito. Ma ancora niente. Tutto questo avviene mentre il governo sta preparando un nuovo decreto, quello che viene definito “di aprile”, con la proroga delle misure di sostegno alle famiglie, ai lavoratori e alle imprese, l’aumento del bonus per gli autonomi e partite Iva da 600 (arrivato solo in questi giorni ai beneficiari, oltre un mese dopo l’entrata in vigore della norma) a 800 euro, e il reddito d’emergenza per aiutare chi è in condizioni più critiche ed è escluso da altre forme di aiuto. Difficile star dietro ai vari provvedimenti, anche per gli addetti ai lavori.

SOLLECITO ALLE BANCHE

Il presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle banche, Carla Ruocco, ieri dalle pagine di questo giornale ha strigliato le banche sollecitandole a erogare i finanziamenti e a «fare presto». Le segnalazioni che giungono alla Commissione, ha riferito Ruocco, sono di difficoltà di accesso ai finanziamenti anche da parte di aziende sane.

Anche il capogruppo del Pd nella Commissione d’inchiesta, Claudio Mancini, condivide l’allarme di Carla Ruocco sul rischio che si blocchi il credito alle imprese. «Da troppe parti arrivano segnalazioni di atteggiamenti elusivi e dilatori – ha detto – sulla presentazione delle richieste di finanziamento sostenute da garanzia pubblica».

Mancini auspica che l’Abi (Associazione bancaria italiana), in audizione la prossima settimana «possa fornire dati certi sull’erogazione dei fondi alle imprese».

Il pressing sulle banche ha indotto ieri il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, a chiarire che dopo la messa in funzione della piattaforma da parte del Fondo di garanzia «le prime domande sono state caricate e l’intero sistema informatico è pienamente operativo». L’Abi, ha detto ancora Sabatini, ha trasmesso costanti informative rivolte sia alle banche che alle imprese e ha inoltre predisposto uno schema che permette di aiutare la gestione delle procedure.

ACCUSE AGLI ISTITUTI

Poco prima era intervenuto il segretario generale della Fabi, uno dei principali sindacati dei bancari, Lando Maria Sileoni, segnalando che «a poche ore dall’avvio dei nuovi finanziamenti garantiti dallo Stato attraverso il Fondo centrale, alcune banche sono impreparate». C’è qualche istituto, ha sostenuto, che «ha perso tempo» e ha minacciato di «fare nomi e cognomi».

«E’ inammissibile – dice Sileoni – che la clientela se la prenda con chi lavora nelle filiali invece di puntare l’indice contro chi ha responsabilità di gravi inadempienze».

Dal mondo produttivo giungono intanto richieste di intervento ben più consistenti e dirette. La Cna, una delle principali associazioni dell’artigianato, ha lanciato un grido d’allarme. «Gli artigiani e il sistema delle piccole imprese sono allo stremo delle forze. Le misure adottate dal governo con il decreto “Cura Italia” e il decreto liquidità non stanno producendo gli effetti annunciati. Le risorse faticano a trasferirsi al sistema delle imprese anche per procedure macchinose».


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