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L’ITALIA che si prepara alla fase due è un Paese che si muove sempre più in ordine sparso. Anarchia allo stato puro. Qualche esempio: il Veneto ha deciso che – indipendentemente dal fatto che il governo lo voglia oppure no – la regione uscirà dall’emergenza. Il 60 per cento delle imprese ha già riaperto. Chi lo ha deciso? Luca Zaia, senza aspettare che lo dicesse il presidente del Consiglio Conte o un qualsiasi comitato scientifico nazionale. Non contento, il governatore del libero Veneto in libero Stato ha già diffuso una nuova ordinanza. Toglie vecchi limiti e ne introduce nuovi. Chi vorrà fare un po’ di jogging o svolgere qualsiasi genere di attività motoria potrà spingersi ben oltre i duecento metri, cioè il limite che viene imposto a tutti gli altri runner sparpagliati nella Penisola. Ma c’è una condizione: dovranno indossare mascherina e guanti «incrociando qualcuno. Non si è tenuti a correre nell’androne o nel cortile condominiale ma non si potrà neanche arrivare a 4/5 km, serve il buonsenso».
MASCHERINE E DISTANZE MINIME
La disciplina delle corsette, delle mascherine (che ancora non si trovano), della mobilità coatta, dei guanti e dei metri percorsi a piedi o di corsa. A questo è ridotta l’autonomia. Il distanziamento sociale nei supermercati veneti, ad esempio, non sarà di un metro, come in altre regioni, ma di due; il doppio. Senza contare l’apertura dei supermarket: ieri in Lombardia erano aperti, contrariamente al resto d’Italia Poi c’è la febbre. Il governatore Zaia e i suoi colleghi di giunta hanno stabilito, sempre in piena e totale autonomia federalista, che con una temperatura di 37,5 gradi si resta a casa. Che uscire è reato, perché vorrebbe dire mettere a rischio la vita degli altri. Come in Lombardia, resterà l’obbligo per clienti ed esercenti di indossare mascherine e guanti per proteggersi dalle goccioline prodotte con starnuti e tosse e dalla permanenza in aria dell’aerosol. Obbligo che al momento non è previsto, sempre per fare un esempio, dove però chi fa jogging lo potrà fare solo nel raggio di 200 metri.
IL FEDERALISMO DELLE CORSETTE
Il sovranismo regionale al tempo del Coronavirus – la frase è abusata ma in questo caso è necessaria – è una giungla di divieti o di concessioni. Quel che resta di un’illusione. Una mascherina da mettere o da togliere, un guanto da indossare, mezzo grado in più o in meno di temperatura corporea. Un contenimento forzoso che varia da regione a regione. La frustrazione di chi non è indipendente ma finge di aspirare a esserlo pur di riuscire a delegittimare il potere centrale. Prendiamo ad esempio sempre la corsetta. Il sovranismo del particulare, svuotato di altri contenuti identitari, si è accanito. In Campania non si può. Nel Lazio sì, ma solo in prossimità della propria abitazione. Chi lo ha deciso? Lo sceriffo, il presidente della Regione Campania De Luca, diventato un personaggio cult ormai anche negli Stati Uniti, se è vero come è vero che anche Naomi Campbell ritwitta i suoi interventi su YouTube. Se dipendesse da De Luca si farebbe come in Cina. Dopo una certa ora, scatta il coprifuoco. Sparare a vista.
LA DELIBERA DELLA FOLLIA
Abbattere il runner è solo un modo di dire, certo. Ma a pensarci bene è anche di più: esprime l’esigenza di tenere sotto controllo la propria regione desiderosa di esprimere purchessia la propria indipendenza. E poco importa se questa forma di autonomia ha trasformato la Lombardia in un immenso cimitero con una delibera che autorizzava le Rsa a prendere in cura i pazienti che erano risultati positivi al Covid-19, a stretto contatto con gli anziani e i malati in stato vegetativo.
VESTITI PER NEONATI LIBRERIE E CARTOLERIE
Nell’ultimo Dpcm si dispone la possibile riapertura dei negozi che vendono abbigliamento per neonati. Ovunque? Sì. Ma per De Luca si potranno riaprire solamente due giorni a settimana, dalle 8.30 alle 14, il martedì e il venerdì. Sei sono troppi. Prendiamo allora le librerie e le cartolerie. Farle riaprire costituirà un piccolo banco di prova per poter vedere l’impatto che avranno. Sono attività circoscritte, varrà come sperimentazione. Dal 20 aprile nel Lazio sarà possibile trovarle aperte dalle 8.30 alle 19 nei giorni feriali e dalle 8.30 alle 15 nei festivi. Il ministro ai Beni culturali, Dario Franceschini, secondo alcuni, avrebbe fatto pressione su Palazzo Chigi e insistito per riaprirle. Contro il volere di molti piccoli librai preoccupati per le conseguenze che una deroga di questo tipo potrebbe avere e nonostante la facilità con la quale i libri si possono acquistare online.
Ci sono periferie urbane dove per acquistare un libro bisogna spostarsi per chilometri. Per chi vorrà approfittarne dire «vado in libreria» equivarrà a un salvacondotto. Sarà così in tutte le regioni? No. Il governatore della Lombardia Attilio Fontana ha già fatto sapere che non se ne parla nemmeno. Nelle Marche, ad Ancora in particolare, storiche librerie hanno deciso che resteranno chiuse. In Toscana si potranno tirare su le saracinesche ma solo a determinate condizioni: sanificazione dei locali, mascherine, guanti monouso, gel all’ingresso a disposizione dei clienti e distanza di sicurezza. Due metri come in Lombardia? No: solo 180 cm. Sennò che autonomia sarebbe?
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