Fabbriche aperte in Lombardia
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Un gigantesco contenzioso sta per abbattersi sulla Regione Lombardia. Uno tsunami giudiziario che rischia di travolgere gli attuali amministratori del Pirellone, il governatore Fontana e l’assessore al Welfare Gallera in primis. Ma non è tutto. I fari della magistratura potrebbero dI accendersi anche sulle tante imprese e aziende che hanno rallentato la produzione ma tengono accesi i motori. Secondo i dati Ires quelle ritenute essenziali, e comprese perciò nel codice Ateco, sono 155 mila ma ai prefetti in questi giorni sono arrivate altre 15/16 mila richieste dalla filiera. Messe insieme superano il 40%.
LA TRASFORMAZIONE DELLE RUOTE
“Ci hanno chiesto di stare a casa e chiedevamo la zona rossa ma poi hanno lasciato tutto aperto, vogliono mandarci al lavoro e scrivono al prefetto per chiedere di riaprire – si sfoga Andrea Agazzi, responsabile Fiom di Bergamo – la verità è che molti non hanno mai chiuso nonostante il protocollo che abbiamo firmato dopo scioperi e lotte”. “Chi produceva pneumatici o chessò ruote per le bici – riprende Agazzi – ora dichiara che le ruote si fanno ma per le carrozzine degli ospedali. Che sono presidi sanitari, dunque indispensabili e inderogabili. Chi fa tappi per gli spray di quel tipo che si utilizza per la cosmetica ora dice che si confezionano per la farmaceutica. Chi fa scambiatori con un ciclo di produzione che dura sei mesi resta aperto. Ugelli per le bombole, macchine per la precisione, etc, etc, Di casi del genere ce ne sono tanti e le maglie del decreto governativo sono molto ma molto larghe. Per questo siamo molto preoccupati. Nelle prime due settimane di stop siamo arrivati anche al 70 % di lavoratori rimasti a casa. Poi sono arrivate le richieste per riaprire. Dieci giorni fa erano già 1800 le domande presentate da imprese e aziende”
AL LAVORO UN MILIONE DI PERSONE
Tradotto in lavoratori: vuol dire più di un milione di tute blu e dipendenti amministrativi rimasti in circolazione. E in attesa del 13 aprile, giorno in cui il governo potrebbe emanare nuove disposizioni, aumentano le pressioni di Confindustria per il “tana di libera tutti”. Con il paradosso di un Centro di un Sud, con numeri di contagio ormai bassi e un Nord ancora infettato che non ha mai smesso di lavorare. E ‘appena il caso di ricordare che la Lombardia ha una superficie che è di circa un dodicesimo del Paese e la popolazione di poco inferiore ad un sesto. Il rapporto tra densità abitativa e contagi è un altro degli elementi che vanno presi in considerazione.
UN FALDONE E TRE FASCICOLI
Dicevamo della Procura di Milano: ha aperto un fascicolo per indagare sui casi di contagio e i morti sospetti di Coronavirus nelle case di riposo. Nel faldone rientreranno tutte le inchieste sugli esposti e sulle denunce effettuati dai familiari degli anziani stroncati dal virus. Un secondo riguarderà il rispetto dei protocolli di sicurezza delle varie strutture. E il terzo, il più corposo forse per le eventuali responsabilità dirette e indirette della giunta lombarda, per i provvedimenti adottati dalla Regione Lombardia in materia di emergenza sanitaria. Sotto i riflettori finirà l’ormai nota delibera XI/2906 dell’8 marzo 2020 che avrebbe aperto le porte delle Rsa ai pazienti provenienti da altri ospedali e ai malati di Codiv 19.
LA DENUNCIA DI EUROPA VERDE
Ed è riferendosi a questa delibera che alla procura di Milano è stato presentato un esposto da un gruppo di esponenti e parlamentari di Europa verde, Angelo Bonelli, Francesco Alemanni, Domanico Finiguerra e Filiberto Zaratti- In questa regione, si legge nella denuncia, sono concentrati oltre il 56% dei decessi di tutta Italia, con un indice di letalità del 17,6 %. Per questo riprendendo l’iniziativa dei verdi della Lombardia abbiamo deciso di agire. Siamo stati in silenzio per il momento delicato del Paese e siamo chiamati a fare la nostra parte per uscire dalla crisi. Ma è gravissimo che il giorno 8 marzo, in piena emergenza Codiv 19 la giunta della Lombardia abbia approvato una delibera che chiedeva alle aziende territoriali sanitarie di individuare case di riposo tra le 400 totali dedicate agli anziani, per assistere pazienti Codiv 19 a bassa intensità”
PARTONO LE ISPEZIONI
Fin qui le denunce. Sul piano politico pesa quindi la gestione dell’’emergenza coronavirus. Aver trasformato le case di risposo in focolai per gli ospiti delle strutture e per il personale sanitario. Cosa che è avvenuta con diverse modalità non solo in Lombardia ma anche in altre regioni. Sono mancate le linee guida è ognuna ha fatto di testa sua. La magistratura avvierà le verifiche ma alcune ispezioni sarebbero in corso.
La vicenda del Pio Albergo Trivulzio dove i decessi sono stati 70 contro i 52 dello stesso periodo dell’anno precedente, ha fatto scalpore per la risonanza mediatica che ha la storica residenza milanese già entrata nelle vicende di Tangentopoli. Ma il maggior numero di esposti riguarda i parenti dei tanti anziani deceduti e dei lavoratori contagiati. indagini riguarderanno il mancato utilizzo di mascherine e strumenti di protezione personale ma anche sulle scarse informazioni fornite ai parenti dei pazienti. Così sotto la lente d’ingrandimento del PM Tiziana Siciliano sono finiti anche l’Istituto Palazzolo Fondazione Don Gnocchi di Milano, una casa-famiglia di Affori e una del quartiere Corvetto, sempre a Milano.
IL MOTO PERPETUO DELLA LOCOMOTIVA
La curva discendente dei contagi ha segnato ieri uno dei punti più bassi. Nel Lazio, per fare un esempio, ieri ci sono stati solo 118 casi. A Roma solo 23, per la prima volta il trend è sceso sotto il 3%. E diminuiscono anche i ricoveri in terapia intensiva. Ma le misure sono le stesse della Lombardia dove le fiamme dell’incendio che si è propagato nel Bresciano e nella Bergamasca sono più basse ma la locomotiva non si è mai fermata.
Il motore è sceso al minimo due settimane fa poi a ripreso a girare. Un moto perpetuo che ha messo a dura prova la resistenza di molti lavoratori. “Il 40° dei metalmeccanici qui ha continuato a lavorare – spiga Alessandro Pagano, segretario Fiom Lombardi – più o meno metà delle attività. Si è fermato il settore delle automobili e dell’acciaio per mancanza di richiesta. Idem per gli elettrodomestici. Ma gli altri hanno continuato: manutenzioni, produzione e distribuzione di energia alle utility, tutta la filiera dell’alimentare e ovviamente il biomedicale. Che ha comportato l’operatività dei settori dove si costruiscono le macchine per l’industria. E potrei continuare. Per questo dico: attenti quando si parla di ripartenza. Qui molte attività non si sono mai fermate. Basta andare in strada e vedere: non passano auto ma è pieno di camion”.
ZERO CONTROLLI
I protocolli firmati con Confindustria dopo l’emissione del secondo decreto governativo, quello più restrittivo, prevedevano il mantenimento delle attività essenziali. Un lunghissimo elenco. Ma anche controlli per verificare che le prescrizioni sanitarie previste venissero attuate dai datori di lavoro. Mascherine ma non solo, Distanze, misure di contenimento. “dalle informazioni che ho raccolto sul territorio non mi risulta che ci siano stati, gli ispettori insomma, qui non si sono visti- riprende Pagano – dove siamo presenti siamo intervenuti per chiedere il rispetto delle regole. Dove il sindacato non è presente purtroppo non lo sappiamo. Posso dire che qui a lungo non si trovavano le mascherine e non è stato facile, Ci sono state aziende che non hanno accettato i termini dell’accordo e dove per chiedere l’osservanza delle regole abbiamo dovuto dichiarare 1 0 giorni di sciopero, l’unico modo per coprire le assenze dei nostri colleghi”.
La parola “operai” pronunciata al tempo del coronavirus suona strano. Fa antico. Eppure, esistono, succede. Chi resta a casa e soffre per l’isolamento e chi ci resterebbe volentieri ma non può e tutti i giorni sfida il virus.
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