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Alcuni pozzi di petrolio

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Nel mondo si va configurando una “tempesta perfetta” di eventi avversi. Si potrebbero fare a questo punto sagge e filosofiche considerazioni su come una delle creature più piccole del pianeta – un virus – ha messo in ginocchio l’economia mondiale, si potrebbe pontificare sulla fragilità di un mondo tecnologicamente avanzato, che si scopre inerme di fronte agli attacchi di un nuovo germe… Ma ci sarà tempo per moraleggiare. Oggi è urgente contrastare le devastazioni del Covid-19.

IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA

Guardiamo dapprima al prezzo del petrolio. Secondo la vamp degli anni Trenta, Mae West, «non si può mai avere abbastanza di una buona cosa». E un più basso prezzo della benzina si configura, nella mente dei più, come una “‘buona cosa”. Ma, a differenza di quel che pensava Mae West, è possibile che avere molto di una buona cosa diventi deleterio.

Il crollo del prezzo del petrolio ha conseguenze positive per chi compra benzina e kerosene e per tutti i consumatori di derivati: dagli automobilisti alle fabbriche di plastica alle linee aeree (che potranno avere qualche vantaggio sui loro costi di carburante, anche se è una magra consolazione di fronte al crollo dei passeggeri). Ma per l’economia mondiale è un fattore fortemente negativo.

Da una parte, i Paesi produttori hanno una più alta propensione alla spesa rispetto ai Paesi consumatori, e quindi i minori incassi dei primi tagliano la domanda più che i risparmi di spesa dei secondi. Dall’altra parte, le imprese del settore energetico fermano gli investimenti e aggiungono sale alle ferite delle Borse.

LA CONTROMOSSA

Perché il prezzo del petrolio è crollato? La risposta più ovvia sta nella domanda. La Cina è il più grande importatore mondiale di petrolio, e il duro colpo che sta subendo l’economia cinese ne ha tagliato gli approvvigionamenti. Al taglio dell’import cinese si aggiunge la riduzione degli assorbimenti negli altri Paesi, dove la crisi si è diffusa a macchia d’olio. E i settori più colpiti sono tutti quelli legati alla mobilità: dai viaggi aerei ai viaggi in generale, dalla ristorazione agli spettacoli (bisogna consumare petrolio per andare al ristorante o al cinema…).

Ma c’è anche un’altra risposta alla domanda di cui sopra. Sta nello scontro fra Russia e Arabia Saudita sui modi di fronteggiare il calo della domanda di petrolio. Nel passato i produttori, quando il calo della domanda portava ad abbassare il prezzo, si mettevano d’accordo (o quasi…) per tagliare la produzione, così da contrastare l’abbassamento dei prezzi. Ma questa volta l’accordo non c’è stato. La Russia ha rifiutato ogni riduzione delle sue forniture di greggio.

Perché la Russia ha fatto il ««gran rifiuto»? Le motivazioni non sono chiare, ma sono probabilmente da mettere in relazione con l’opportunità, che Putin ha voluto cogliere, di mettere fuori mercato il petrolio americano da scisti (shale oil), lasciando che il prezzo scendesse sotto il livello di guardia. Una strategia sul filo del rasoio, cui l’Arabia Saudita ha risposto rincarando la dose, così da mettere in difficoltà anche la Russia.

Gli sceicchi hanno ridotto il prezzo delle loro forniture di greggio (di 7 dollari al barile per gli Usa, di 8 dollari all’Europa e di 6 dollari all’Asia) e hanno annunciato aumenti di produzione che varranno, in concomitanza con la domanda calante, ad abbassare ulteriormente i prezzi. Così, il greggio Wti, che poche settimane fa quotava sopra i 50 dollari al barile ($/b), è crollato a poco sopra 30.

LE CONVENIENZE

Quali sono i numeri che decideranno il braccio di ferro nella triangolazione Russia-Arabia-America sull’oro nero? Il vantaggio dell’Arabia Saudita è che ha i costi di estrazione più bassi del mondo, poco sotto i 3 dollari al barile. Il petrolio americano, invece, a 30 dollari al barile, è già fuori mercato: per i produttori di greggio da scisti il punto di break even, cioè il prezzo che copre i costi, è, a seconda delle località, fra i 30 e i 40 $/b.

C’è un altro prezzo-limite, per lo shale oil, il cosidetto Duc (Drilled but UnCompleted), che descrive quanto bisognerebbe spendere per completare un pozzo già scavato ma non finito: questo “costo marginale” è di 25 $/b. Il che vuol dire che c’è ancora convenienza a produrre finché il prezzo non vada sotto i 25 dollari. Nel caso della Russia, i proventi da petrolio sono fondamentali per il bilancio pubblico, e qui la quotazione chiave per l’economia russa è di 40 $/b.

Il confronto fra queste cifre dà chiaramente un vantaggio agli arabi. Ma tutti i contendenti rischiano di essere perdenti. L’Arabia Saudita può certo, abbassando i prezzi, guadagnare quote di mercato. Ma avrebbe una fetta più grande di una torta molto più piccola, dato che il problema è il crollo della domanda di petrolio dovuto a una recessione mondiale che si annuncia di portata paragonabile, se non peggio, a quella del 2008-2009.

BISOGNO DI UNITÀ

Questa anomala recessione ha bisogno di risposte di politica economica anch’esse anomale, specie in Italia, che è il Paese occidentale più colpito da questa crisi – è il caso di dirlo – così virulenta. La politica monetaria può fare poco, quando si smagliano le catene di offerta.

La politica di bilancio può fare di più, ed è il tempo di sperimentare nuovi rimedi: per esempio, sussidi diretti ai cittadini, come la misura decisa a Hong Kong, dove il governo locale ha fatto arrivare a tutti, ricchi e poveri, 10mila HK$ (circa 1.000 euro). E ancora, misure mirate per imprese e lavoratori che hanno sofferto di più dalle chiusure delle zone rosse.

Il governo si è mosso correttamente in questo senso e spiace solo che, in un momento in cui c’è grande bisogno di unità nazionale, ci sia chi critica e lamenta solo per guadagnare voti. Più in là, c’è la grande opportunità che questa crisi ci offre: come già scritto il 29 febbraio, questa opportunità «si staglia come la nuova frontiera della politica economica italiana. Insomma, se non adesso, quando? Quando, se non adesso, sarà possibile lanciare un programma di investimenti pubblici, dal Nord al Sud e principalmente al Sud, capace di tagliare i nodi gordiani degli adempimenti e dei lacci e dei lacciuoli, un’impresa che valga a rimettere sui binari giusti il treno deragliato della crescita italiana?».


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