Luca Zaia con il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia
4 minuti per la letturaNon ci sono oasi felici. Non ci sono isole dove il Coronavirus non arriva. Il bollettino dei numeri di queste ultime due settimane – morti, ammalati, cittadini in quarantena – ci consegna un’Italia che si trova unita nella grande crisi sanitaria, che inevitabilmente sta diventando anche emergenza economica e causa di nuove dinamiche sociali. Ma soprattutto ci sta mostrando come tre delle regioni più produttive ed economicamente dinamiche d’Italia siano le più colpite. E, guarda caso, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, sono proprio le tre Regioni che hanno avviato il processo per ottenere una maggiore autonomia dallo Stato. Il Veneto è arrivato a chiedere deleghe su 23 materie, sostenendo che “da soli è meglio”, anzi il modello è virtuoso, dovrebbe essere applicato a tutti. Ma quando la crisi è globale, anche le vie d’uscita coinvolgono tutti, vanno cercate assieme. Alla faccia dell’autonomia. Il sistema sanitario veneto sarà anche un’eccellenza in Italia, come afferma – un giorno sì e l’altro pure – il governatore leghista Luca Zaia, eppure proprio l’emergenza da Coronavirus dimostra che nessuno ce la può fare da solo.
Due giorni fa proprio il presidente della Regione Veneto ha spiegato ai giornalisti le richieste avanzate al governo, non solo dal Veneto, ma anche dalle altre due regioni maggiormente colpite. Perchè Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna hanno messo a punto un documento, che è stato poi fatto proprio dalla Conferenza delle Regioni, che parte da una considerazione base: occorre fare di tutti i territori delle regioni colpite una “zona rossa economica”, destinataria di misure straordinarie che non possono essere limitate alle sole “zone rosse sanitarie”. In Veneto si tratterebbe non solo del piccolo Comune di Vo’ Euganeo, isolato da due settimane, ma di tutta la regione. Come in Lombardia non si tratterebbe solo di Codogno o degli altri Comuni dove si sono verificati decessi e casi di positività.
Parlando con i giornalisti, due giorni fa, Zaia ha spiegato la richiesta, che ha come destinatario il governo centrale. Su questo punto salta subito all’occhio che la Regione che pretende autonomia totale, in una situazione di emergenza deve rivolgersi all’entità statale più forte, per ottenere protezione (sul piano sanitario) e aiuto (su quello economico). Le direttrici indicate da Zaia (ma condivise da tutte le Regioni) sono tre: “Rimediare ai danni diretti provocati dalle ordinanze, pensiamo ai bar o ai ristoranti costretti alla chiusura, con iniezioni di liquidità che ne garantiscano la sopravvivenza, o alle famiglie costrette a pagare extra per le baby sitter”. A parte che la prima ordinanza del ministro Speranza fu ispirata da Zaia, è evidente che il Veneto chiede a Roma. All’Italia. Ed è giusto che sia così, in una situazione in cui il Veneto (con Lombardia ed Emilia-Romagna) è maggiormente colpito. Seconda richiesta: “Aiutare le imprese nel lungo periodo, per stimolare la ripresa dopo l’emergenza, anche con lo slittamento dei mutui e degli adempimenti fiscali”. Terza: “Sostenere il lavoro e l’occupazione, con l’estensione della cassa integrazione, ordinaria e in deroga”.
In questa situazione, nessuno da solo è in grado di salvarsi. Neppure tre delle regioni italiani economicamente più forti. La sola emergenza sanitaria può essere affrontata dal Sistema nazionale sanitario, non da una singola entità, non foss’altro per le conoscenze scientifiche e per i ricercatori d’eccellenza che possono essere messi in campo. Per non parlare dei danni economici da riparare. Quelle tre richieste di Zaia sono la confutazione di una dichiarazione di autosufficienza che viene enunciata da due anni e mezzo, a partire dal referendum per l’autonomia del 22 ottobre 2017.
Il messaggio all’Italia del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dell’altro giorno, in fondo non ha fatto altro che ricordare a tutti gli italiani questa verità semplice. Ha parlato di condivisione, concordia, unità d’intenti, solidarietà del Paese. E, soprattutto, ha parlato dell’Italia che può farcela se sarà unita. L’annuncio del premier Giuseppe Conte di “un piano straordinario di opere pubbliche e private” e lo stanziamento di oltre 7 miliardi di euro sono il corollario operativo delle parole di Mattarella, che ha detto di affidarsi con fiducia alle scelte del governo.
Non sappiamo se a Venezia capiranno tutto questo, la portata e le conseguenze di un momento non facile. In fondo, da Ca’ Balbi, sede della giunta regionale del Veneto, dopo le catastrofi sono sempre partite le richieste. Dopo l’alluvione del 2010, dopo il Vaia del 2018 che ha colpito le Dolomiti, dopo l’acqua altissima a Venezia dello scorso novembre. Ogni volta abbiamo sentito la giaculatoria del “noi veneti lavoriamo e ci rimbocchiamo le maniche” (verissimo), accompagnata però dall’invocazione di un aiuto al potere centrale. Ovvero, anche alle altre Regioni.
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“Non ci sono oasi felici” è l’esordio dell’articolo. Non so se i polinesiani o i mauriziani potrebbero smentirlo.
Come saprà, Venezia è fatta di isole, per lo più felici. Forse lo sono tuttora, nonostante le emergenze di questi giorni amari. E proprio perché sono amari, non mi pare il caso di polemizzare sulle richieste del Governatore Zaia. Nell’articolo ci si spinge a teorizzare che “pretendere la totale autonomia del Veneto” (semmai domandare in punta di piedi) sarebbe in contraddizione con la richiesta di aiuti statali e che queste necessità sarebbero la confutazione della dichiarazione di autosufficienza.
A me invece pare lapalissiano il contrario, ovvero finché un territorio non viene lasciato libero di “andarsene amichevolmente”, o viene trattenuto e “invitato” a contribuire alle casse erariali, esso ha pieno diritto di chiedere aiuto. Che poi i veneti ne farebbero volentieri a meno, questo è tutto un altro discorso.
Immagino che scrivendo in un quotidiano del sud lei non sappia che i veneti non hanno origini italiane (derivano dagli Eneti), che vengono da un millennio di Serenissima di cui ancora si tramandano le tradizioni, e che per tutta un’altra serie di ragioni storico-culturali con cui non voglio tediare, amerebbero autodeterminarsi e autogovernarsi.
Ergo, quando – o sarebbe meglio scrivere SE – saranno liberi di farlo, non si sogneranno di chiedere più uno straccio di aiuto. Però su una cosa ha ragione: l’unione fa la forza. Unione che può essere una famiglia, un quartiere o una città. Certo, potrebbe anche avere la forma di uno stivale, questo dice al momento la Costituzione.
Penso di interpretare il pensiero della maggioranza dei Veneti scrivendo che siamo speranzosi sul fatto che la forma possa un giorno cambiare e che lo stivale diventi una confederazione di Stati autonomi.
Anche il presidente Fugatti del Trentino (che è autonomo da decenni e non ha mai partecipato al funzionamento dello Stato) si è già visto in televisione per chiedere risorse. Ma, appunto, il Trentino è GIA’ autonomo. Nulla dà allo Stato e nulla deve pretendere. Altra cosa è un regione a statuto ordinario con le sue motivate richieste
“Non ci sono oasi felici” è l’esordio dell’articolo. Non so se i polinesiani o i mauriziani potrebbero smentirlo.
Come saprà, Venezia è fatta di isole, per lo più felici. Forse lo sono tuttora, nonostante le emergenze di questi giorni amari. E proprio perché sono amari, non mi pare il caso di polemizzare sterilmente sulle richieste del Governatore Zaia. Nell’articolo ci si spinge a teorizzare che “pretendere la totale autonomia del Veneto” (semmai domandare in punta di piedi) sarebbe in contraddizione con la richiesta di aiuti statali e che queste necessità sarebbero la confutazione della dichiarazione di autosufficienza.
A me invece pare lapalissiano il contrario, ovvero finché un territorio non viene lasciato libero di “andarsene amichevolmente”, o viene trattenuto e “invitato” a contribuire alle casse erariali, esso ha pieno diritto di chiedere aiuto. Che poi i veneti ne farebbero volentieri a meno, questo è tutto un altro discorso.
Immagino che scrivendo in un quotidiano del sud lei non sappia che i veneti non hanno origini italiane (derivano dagli Eneti), che vengono da un millennio di Serenissima di cui ancora si tramandano le tradizioni, e che per tutta un’altra serie di ragioni storico-culturali con cui non voglio tediare, amerebbero autodeterminarsi e autogovernarsi.
Ergo, quando – o sarebbe meglio scrivere SE – saranno liberi di farlo, non si sogneranno di chiedere più uno straccio di aiuto. Però su una cosa ha ragione: l’unione fa la forza.
Unione che può essere famiglia, quartiere o città. Certo, potrebbe anche avere la forma di uno stivale, questo dice al momento la Costituzione. Penso di interpretare il pensiero della maggioranza dei Veneti scrivendo che siamo speranzosi sul fatto che la forma possa un giorno cambiare e che lo stivale diventi una confederazione di cantoni autonomi. Amici, ognuno a casa propria.