L'istituto Spallanzani di Roma
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Dei contagiati ricoverati negli altri ospedali del Nord nessuno vuol parlare. Ma dall’espressione sfuggente di medici e infermieri si intuisce ciò che si preferisce non dire. Che un qualche “pasticcio” non meglio precisato ci deve essere stato se il virus è sfuggito alla rete dei colleghi lombardi, se ha perforato i controlli e ora è tra noi.
GUARITO IL RICERCATORE MIGLIORA LA COPPIA CINESE
Un convitato di pietra che l’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma è riuscito finora a neutralizzare. I due ragazzi italiani, lo studente 17 enne e il ricercatore che inizialmente era finito in quarantena alla Cecchignola, il primo italiano risultato positivo al Coronavirus e rimpatriato con un volo speciale da Wuhan, migliorano di giorno in giorno. L’ultimo bollettino lo dava «persistentemente negativo ai test». E anche i due coniugi cinesi, originari della regione di Hubei. sono usciti dalla fase critica. Oggi, nella conferenza stampa convocata dal direttore generale, non è escluso che si possa annunciare ufficialmente che marito e moglie, 67 e 66 anni, ricoverati per la prima volta il 23 gennaio scorso, sono definitivamente fuori pericolo.
Siamo in via Portuense, a due passi da Monteverde, a pochi chilometri dal Gianicolo dove il vecchio cannone continua a rimettere l’orologio dei romani allo scoccare del Mezzogiorno. In un luogo dove la sanità non gode di buona stampa. L’epidemia per ora è sotto controllo. Il modello lombardo-veneto – per fortuna, ci verrebbe da dire – è lontano.
«Abbiamo ricevuto centinaia di provette da tutta Italia – spiegano in queste ore concitate i vertici dell’Istituto – tranne che dalla Lombardia. Loro hanno fatto da soli».
POLO DI RIFERIMENTO CON I CONTI IN ROSSO
Lo Spallanzani è un nosocomio di eccellenza nazionale. Dai primi anni del Duemila è anche un polo contro il bioterrorismo, specializzato nella cura delle malattie infettive, un polo di riferimento per la Sars o appunto il Coronavirus.
Ed è qui che lo scorso 2 febbraio il ministro della Salute, Roberto Speranza, è venuto per annunciare che era stato isolato il virus che sta terrorizzando la Cina e il mondo intero. I primi in Europa a isolarlo, grazie a due ricercatrici, una delle quali mezza precaria, visto che era rimasta nel nosocomio romano in attesa di trasferimento in Molise.
Da allora la corsa dei politici a mettere il cappello sullo Spallanzani non si è fermata. Eppure, in passato proprio dai vertici dell’ospedale si erano sollevati dolorosi peana. Rimborsi per le prestazioni “speciali” effettuati con il contagocce e al di sotto del tariffario. Costi che non coprono le spese, come dimostrano i bilanci in rosso. Meno 21 milioni l’ultimo, meno 17 milioni due anni fa. Medici e personale sanitario insufficienti: 110 camici bianchi anziché i 135 previsti, 542 operatori contro i 582 previsti dalla pianta organica.
SOS INASCOLTATI DAL CENTRO D’ECCELLENZA
Amministratori e vertici dell’Istituto hanno più volte avanzato richieste alla Regione Lazio per apportare alcune modifiche alla struttura spalmata su vari padiglioni. Cambi di destinazione d’uso di locali, modifiche tecniche che non sono mai stati autorizzate per via dei vincoli architettonici. Inoltre, si fa sommessamente notare come per il ricovero e la cura degli extracomunitari non sia previsto alcun rimborso-
Ieri, come ormai ogni giorno, la Task force interna ha fatto il punto della situazione, senza tuttavia entrare nel merito delle misure preventive prese dalla regione Lombardia.
«E’ una fase in cui c’è una trasmissione locale sul territorio nazionale – ha spiegato Giuseppe Ippolito, il direttore scientifico – Bisogna quindi mettere in atto misure che servono a ridurre il rischio di diffusione all’interno di una determinata area».
Siamo sicuri che in Lombardia siano stati rispettati i protocolli? L’unica certezza – sostiene il dottor Ippolito – è che non siamo dinanzi a una pandemia. Non esiste questa situazione, è un termine che indica la diffusione del virus in tutti i continenti. E non è questo il caso».
L’ospedale, che trae il suo nome dal padre della fecondazione artificiale, scienziato, biologo e gesuita, ha una storia lunghissima. Nacque nel 1939 con la vocazione alla cura delle malattie infettive come costola del San Camillo, fondato 10 anni prima. Dal 1991 il ministero della Salute lo ha riconosciuto come Istituto a carattere scientifico (Rccs). I mezzi sono però quelli che sono. Come si sente ripetere spesso nei corridoi, il nosocomio si chiama Lazzaro ma per i miracoli bisogna rivolgersi altrove.
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