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Prima che la giornata finisca il Sud avrà perso 170 milioni, euro più, euro meno. Oltre tre volte i 49 milioni che la Lega restituirà allo Stato italiano in 80 anni, più della metà di quanto il taglio dei vitalizi farà risparmiare nel corso di un’intera legislatura: 170 milioni di euro bruciati in sole 24 ore. A tanto ammonta su base giornaliera il bottino da 62,3 miliardi che ogni anno, dati del Sistema dei conti pubblici territoriali alla mano, viene sottratto al Mezzogiorno e dirottato verso il Centronord. La bellezza di quasi 5,2 miliardi ogni mese.

UN TUBO CHE PERDE

Un tubo che perde da anni, da decenni anzi, e che nessuno si degna di aggiustare. Eppure, almeno a parole, di idraulici volenterosi ce ne sono tanti. Risale alla fine dello scorso luglio l’interpellanza parlamentare del Pd. Primo firmatario quello stesso Francesco Boccia che a distanza di un paio di mesi sarebbe diventato ministro per gli Affari Regionali. «Prima che dalla politica, il Sud è stato battuto clamorosamente dalla matematica» era l’incipit amaro del capogruppo Pd nella commissione Affari sociali della Camera, Vito De Filippo. È vero, la matematica, ma anche la politica ci ha messo del suo.
Oggi i numeri sono acquisiti agli atti parlamentari. Quegli oltre 62 miliardi di spesa pubblica mancata risuonano nell’intervento di Boccia a sostegno dell’interpellanza: «Il Sud non ha mai avuto più del 22% di risorse negli ultimi sedici, diciassette anni» a fronte di una popolazione superiore al 34%.

Ma le interpellanze, si sa, lasciano il tempo che trovano. Soprattutto se, ed era questo il caso, il governo a cui sono rivolte è a trazione leghista. Ben altra cosa è promuovere un’indagine conoscitiva in commissione Finanze, come ha fatto la presidente pentastellata Carla Ruocco. Nel giro di qualche mese l’indagine ha visto i contributi del nuovo ministro agli Affari Regionali, sempre Boccia, ma anche di Adriano Giannola (presidente Svimez), Mariella Volpe, e del presidente della commissione per la definizione dei Fabbisogni standard, Giampaolo Arachi. Le conclusioni sono unanimi: il maltolto vale 62 miliardi annui, il problema è la spesa storica, la definizione dei livelli essenziali è una priorità. Insomma, la politica conosce il problema, ma poi si ferma. O quantomeno propone soluzioni che corrispondono a tappare la perdita del tubo di cui sopra con un chewing gum.

PRIMI PASSI

L’ultimo in ordine di tempo è il piano per il Sud annunciato dal ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano. Un primo passo, certo, ma dai contorni fumosi: 100 miliardi al Sud nella prossima decade, compresi i fondi provenienti dall’Unione europea. In manovra in realtà c’è poco, troppo poco. Per il 2020 viene stanziato un miliardo e mezzo, l’1,5% delle risorse totali preventivate dal piano. Il resto arriverà in un decennio, sempre che un altro governo, magari a guida leghista, non decida di rivedere il programma.
C’è poi il rafforzamento della clausola del 34%, duramente criticata da un organo indipendente qual è l’Ufficio parlamentare di Bilancio: mancano le sanzioni in caso di inadempienza e la misura non viene applicata a tutte le grandi aziende di Stato, ma solo ad Anas e Fs.

Insomma, di entusiasmante fin qui c’è poco. Tanto che persino un esponente del Governo, il sottosegretario alle infrastrutture Salvatore Margiotta, in un’intervista questo giornale, non ha nascosto la delusione: «Contesto la clausola del 34%. Non c’è maggiore ingiustizia che fare parti uguali fra disuguali». Per dirla senza mezzi termini: «Negli ultimi vent’anni l’unica finanziaria che ha messo al centro il Sud risale a D’Alema». Sipario.

La questione forse è un’altra: un conto è ammettere la sottrazione di risorse al Sud, altra cosa è preventivare una restituzione, come proposto dallo stesso Boccia dalle colonne di questo giornale: «Si deve pretendere una perequazione per il passato» (29 giugno 2019). «Bisognerebbe togliere le troppe risorse a qualcuno e darle a chi ha meno, ma ci sarebbe la rivoluzione sociale» è la considerazione amara di Ruocco a inizio novembre.

Se restituire diventa una missione impossibile, quali sono le alternative? Le più interessanti arrivano proprio dall’indagine conoscitiva. Il ministro Boccia, nel corso della sua audizione, proponeva l’uso di fondi pluriennali per gli investimenti, con una corsia preferenziale per i territori svantaggiati. Non solo per colmare le differenze fra Nord e Sud, quindi, ma anche per attutire il divario fra Nord e Nord e Sud e Sud. Un piano inserito nella discussa legge quadro sull’autonomia e ancora allo stato embrionale.

I COSTI MEDI

Altra proposta è quella avanzata da Mariella Volpe, componente della commissione Svimez sul Federalismo e già direttrice dei Cpt.
La nuova bozza sul federalismo fiscale, seppure in un’ottica completamente diversa da quella del governo gialloverde, cade nello stesso errore: prima si stipulano le intese con le regioni, poi si stabiliscono Livelli essenziali delle prestazioni. Nel caso di Boccia entro un anno, nel frattempo si continuerebbe a usare il criterio della spesa storica. Quello che, tanto per capirci, finora ha fatto in modo che il fabbisogno di alcuni comuni che non hanno mai potuto permettersi gli asili nido fosse pari a zero.

La proposta della Svimez è di sostituire alla spesa storica, in attesa dei Lep, i costi medi di lungo periodo, vale a dire la media di quanto lo Stato ha erogato ai diversi territori nel corso degli ultimi vent’anni. La media verrebbe fatta su base nazionale e non regione per regione, giocoforza tenderebbe ad ridurre le sperequazioni fra territori più ricchi e più poveri. Le soluzioni, insomma, ci sono. Ora serve il coraggio di attuarle. Di avvicinarsi finalmente a quel tubo che perde e dagli una stretta. A meno che non si preferisca allagare tutta la casa.

Un consiglio arriva via Twitter dall’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli: «Non si risolve il problema della crescita in Italia se non ci si occupa del Sud. E non lo si fa col reddito di cittadinanza. Servono scuola, investimenti, legalità». E servono ora.


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