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Umbria e Marche arretrano: da regioni “più sviluppate” a regioni “in transizione”, proprio come è attualmente l’Abruzzo. Sardegna e Molise passano invece da regioni in transizione a regioni “meno sviluppate”.

Tutto questo avviene nel prossimo ciclo di programmazione del settennio 2021-2027 della politica di coesione che si finanzia con i fondi europei (oltre al cofinanziamento nazionale). Nessun miglioramento per le regioni che oggi (nella programmazione 2014-2020) sono nel gruppo delle “meno sviluppate”, ossia Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. Tutte le altre regioni, quelle del Centro-Nord, sono confermate nel gruppo di quelle “più sviluppate”.

IL RAPPORTO IFEL

Le tre categorie sono definite in base al criterio del pil pro capite: quando è inferiore al 75% della media europea le regioni sono considerate “meno sviluppate”, quando si colloca tra il 75% e il 100% della media Ue sono considerate “in transizione”, quando il pil pro capite supera il 100% della media Ue si tratta di regioni “più sviluppate”.

Uno spaccato significativo sulle difficoltà di attuazione delle politiche di coesione è rappresentato nell’ultimo rapporto Ifel (la Fondazione dell’Anci) e in un dossier del Senato. L’Italia è un Paese che si impoverisce sempre più e le politiche di sviluppo e coesione, che dovrebbero intervenire in maniera aggiuntiva alle politiche “ordinarie” messe in atto dai soggetti pubblici, nazionali e territoriali, non si dimostrano efficaci per raggiungere gli obiettivi di crescita e miglioramento della qualità della vita delle comunità. Se, da un lato, le regioni che sono passate alla categoria inferiore potranno accedere a una quota maggiore di risorse, con soddisfazione degli amministratori, dall’altro lato il segnale non è positivo.

POLITICHE INEFFICACI

Per ridurre le disparità e favorire il recupero delle regioni a basso reddito e a bassa crescita, nella nuova programmazione dovrebbero essere presi in considerazione anche altri parametri, oltre al pil pro capite, come ad esempio la disoccupazione giovanile, il basso livello d’istruzione, i cambiamenti climatici, l’accoglienza e l’integrazione dei migranti. L’Italia sta faticosamente recuperando il ritardo accumulato nell’attuazione della programmazione 2014-2020 (siamo all’ultimo anno del periodo e agli ultimi posti tra i Paesi europei per impegni di spesa e soprattutto per l’utilizzo delle risorse dei fondi europei), ma, come ha spiegato in questi giorni il ministro per la coesione e il Sud, Giuseppe Provenzano, per non restare indietro è necessario contemporaneamente lavorare al prossimo ciclo.

Un fatto è certo: la politica di coesione così come è stata concepita finora in Italia dai governi centrali e da quelli locali, ha funzionato poco e male. Nel prossimo ciclo la Commissione intende introdurre criteri più stringenti per la spesa effettiva delle risorse e il cosiddetto “disimpegno” (la perdita delle risorse assegnate per un programma).

IL NUOVO QUADRO

Il nuovo quadro regolamentare prevede il ritorno alla regole “n+2”, già applicata nel ciclo 2007-2013. Significa che i soldi vanno concretamente spesi e certificati entro due anni da quando vengono impegnati. Nell’attuale ciclo di programmazione è stato concesso un anno in più (n+3) e l’Italia con grandi difficoltà ha raggiunto i target previsti al 31 dicembre 2019.

Nel rapporto Ifel un interessante focus è dedicato alla spesa pubblica nel Mezzogiorno. Si evince che a livello nazionale la spesa in conto capitale della Pubblica amministrazione, quella per investimenti, tra il 2000 e il 2028 è passata da 59,3 a 34,6 miliardi, con un calo del 42%. Al Sud, però, la riduzione della spesa in conto capitale della P.A. è più marcata: si passa da 23,7 a 12,4 miliardi, con una flessione del 48%. Se si considera il peso delle risorse aggiuntive, ossia quelle dei fondi europei, all’interno delle spese in conto capitale, emerge che negli ultimi anni considerati esse rappresentano al Sud poco meno della metà (265 euro pro capite su 595).

LE PERPLESSITÀ

«Un dato – dice il rapporto – che genera qualche perplessità sulla natura di “aggiuntività” dei fondi europei per la politica di coesione». Il fenomeno è evidente soprattutto nel 2015, anno di scadenza per certificare le spese di programmazione 2007-2013. Per non rischiare di perdere i soldi le amministrazioni inseriscono progetti che in altri anni sarebbero finanziati con risorse nazionali ordinarie. Ma proprio per questa prassi consolidata le politiche di sviluppo e coesione sono spesso inefficaci.


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Fabio Grandinetti

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