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«Maltempo senza fine tra nubifragi, vento e neve», «Non è finita: altra pioggia, neve e vento», «Il maltempo non dà tregua al Sud Italia», «Violente mareggiate nel Sud Italia: colpite Calabria, Basilicata e Puglia»: sono titoli letti sulle home page dei siti meteorologici in questi giorni, ma finiti spesso nelle pagine interne dei quotidiani nazionali, soprattutto quelli che si stampano al Nord.
L’allarme e le cronache per la devastante acqua alta di Venezia non hanno lasciato spazio a quelle del resto del paese, soprattutto a quelle del Sud. Neppure il nubifragio abbattutosi rovinosamente su Matera ha indotto a focalizzare per più di un paio di giorni i cannocchiali e le telecamere della cronaca su quella straordinaria, originale, ultrasecolare testimonianza storica e urbanistica che sarà ancora per un mese e mezzo la Capitale Europea della Cultura.
E in favore di telecamere i nostri politici si sono precipitati a Venezia, nell’affannosa rincorsa ad imitare (alcuni con il trasparente proposito di offuscarne la tempestività) il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che è stato il primo ad avvertire il dovere di andare a verificare subito le eccezionali conseguenze della mareggiata abbattutasi, in dimensioni sconosciute da oltre cinquant’anni, sulla città simbolo del Bel Paese, per valutare tempestivamente ciò che il governo aveva il dovere di fare.
Nel solco di quei politici, anche i mezzi di informazione si sono precipitati, lasciando, però, spazi marginali al resto del Paese, soprattutto a quello che si trova a sud della capitale, e, contemporaneamente, trascurando, nel fare il primo calcolo dei danni da riparare, i miliardi che in 16 anni sono stati sprecati o voracemente inghiottiti nella interminabile realizzazione – o, meglio, nella non realizzazione, o, se preferite, nel non completamento – del MoSE, il colossale Modulo Sperimentale Elettromeccanico che dovrebbe ergersi automaticamente a difesa della Laguna e di Venezia quando dall’Adriatico una mareggiata si avvicina alla città e si avventa sulla sua bellezza trasformando piazza San Marco in un lago che straripa nelle calli e allaga case e alberghi, negozi e uffici, scuole e laboratori artigianali seminando distruzioni e paralizzando la vita della città.
Finora questo ingegnoso meccanismo non solo non ha potuto ancora dare una prova sperimentale della sua capacità di fare da baluardo alle maree, ma non ha potuto neppure dar prova della capacità di fare da baluardo al male che affigge troppo spesso la vita amministrativa del nostro paese: la corruzione. Tant’è che è stato a sua volta sommerso da vicende giudiziarie, che col tempo ne hanno arrugginito (realmente, non metaforicamente) i meccanismi, al punto che questa volta i tecnici addetti all’opera, sollecitati ad azionare in via sperimentale le paratie che sono deputate a sollevarsi per fare da barriera al mare, si sono rifiutati di ricorrere a questo estremo tentativo contro l’eccezionale portata delle onde (pari a quella, straordinaria, del 1966), nel timore di veder andare in frantumi l’impianto.
Ma di questo si è parlato poco: a parlarne sono stati solo alcuni di coloro che sperano nel completamento dell’opera (ora affidato a una commissaria straordinaria, Elisabetta Spitz) e altri che continuano ad essere scettici sulla sua possibile efficienza.
Invece dei miliardi inghiottiti in questi 16 anni dal Mose, per le malsane vicende giudiziarie che ne hanno tormentato la realizzazione, si parla poco, tranne qualche lodevole eccezione come può essere considerata la ricostruzione riproposta da Gian Antonio Stella sul Corriere della sera. Sono miliardi della comunità nazionale, una parte dei quali avrebbero potuto essere destinati a bonificare e rafforzare gli argini dei fiumi e dei torrenti in regioni del Sud, in Calabria, in Sicilia, in Campania, e in regioni del centro Italia. Senza togliere finanziamenti all’opera in difesa di Venezia: solo impedendo che finissero nelle tasche di chi sulla difesa di Venezia ha fatto la «cresta».
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