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Ventisette società partecipate direttamente dalla Regione Toscana e altre 50 controllate indirettamente, e «molte di queste presentano serie criticità gestionali». Ancora una volta è la Corte dei conti, nei giudizi di parifica dei bilanci delle Regioni, a fare luce sul buco nero delle società partecipate. Una legge statale ha cercato di mettere ordine nel settore e di ridurre i costi, obbligando le Regioni a dismettere le partecipazione o le società stesse. Però, «il processo ad oggi non si è concretizzato», sottolineano i magistrati contabili toscani.
La gran parte dei debiti delle partecipate è contratta dalle partecipate del Nord Italia (il 74%), con una forte concentrazione in Lombardia (26,5 miliardi), Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna (rispettivamente: 12,71 e 8,89 miliardi).
IL BUCO NERO
Nonostante questi record negativi, il trend sembra proprio non cambiare. Basti pensare che, come evidenzia la Corte dei conti, nel 2018 «solamente in riferimento alle società a partecipazione maggioritaria della Regione Toscana il risultato economico globale è negativo per circa 7 milioni di euro – Rispetto all’esercizio 2017, quando la perdita di pertinenza regionale si assestava su 3,6milioni di euro, si rileva quindi un peggioramento».
Insomma, anziché migliorare queste società continuano a produrre maggiori perdite. E a chi prova a spiegare questi continui passivi nei bilanci con una congiuntura economica sfavorevole, la Corte dei conti replica così: «In molti settori, (termale, creditizio e fieristico), la crisi assume un carattere strutturale e non congiunturale».
Società nate per produrre debiti. In tutta Italia sono 7.090, di cui attive 5.766, e danno lavoro a 327.807 persone, ma producono più debiti (104 miliardi) che crediti (53 miliardi). Si occupano di attività diverse (rifiuti, trasporti, acqua) e, soprattutto, gestiscono un fiume di danaro, con risultati spesso non lusinghieri, soprattutto nel Nord Italia.
DISASTRO ANNUNCIATO
«Sul piano territoriale – scrivono i magistrati contabili – si rileva che in quasi tutte le Regioni del Nord il fenomeno delle perdite di esercizio non interessi più di un quarto degli organismi ivi censiti, mentre nelle restanti aree il trend negativo è più diffuso (sfiorando il 40% in Calabria e in Sardegna), ma è comunque di minore impatto a livello complessivo. Guardando al profilo quantitativo, si osserva che oltre quattro quinti delle perdite sono concentrate tra gli organismi del Nord».
Insomma, le partecipate del Nord realizzano più debiti di quelle del Sud (Campania e Sicilia con 3,87 e 3,24 miliardi sono quelle con più “copponi”) e danno anche più lavoro: nei 962 organismi della Lombardia, ad esempio, sono impiegati 59.924 dipendenti, in Emilia Romagna, invece, 557 enti danno occupazione a 30.342 persone, in Veneto sono 29.296 gli impiegati; di contro, in Campania i dipendenti sono 16.805, in Puglia 10.199, in Calabria 4.391, in Basilicata 668, solo la Sicilia si avvicina alle Regioni del Nord con 23.512 dipendenti.
La Lombardia risulta essere la regione italiana con il più alto numero di società partecipate: 962, quasi il 17% del totale. E stacca non di poco la seconda in classifica, l’Emilia Romagna che con 557 enti copre meno del 10% del numero complessivo. La Basilicata, con 35 società partecipate, chiude la classifica regionale.
LA SPIA ROSSA
«La situazione economico-patrimoniale di molte società partecipate dalla Regione Toscana è particolarmente grave, in alcuni casi al punto di mettere a rischio la sopravvivenza stessa della società», si legge nella relazione della Procura della Corte dei conti nel giudizio di parifica dell’ultimo bilancio.
I magistrati evidenziano un altro dato inquietante: «La spesa per le società partecipate della Toscana – scrivono – è in continuo aumento». E in effetti la Toscana, nel 2018, ha dovuto trasferire alle controllate 137,5 milioni di euro contro i 110,1 milioni del 2017, in pratica i trasferimenti sono cresciuti del 36%. Anche gli oneri per trasferimenti in conto esercizio lievitano: dai 9,5 milioni nel 2017 a 23,5 nel 2018.
Dalla Toscana all’Emilia Romagna, la musica non cambia. La Regione detiene 47 partecipazioni: «Secondo quanto indicato dalla relazione dei Revisori dei conti sull’esercizio finanziario 2018 – scrive la Procura della Corte dei conti emiliana – il settore nel suo complesso (agenzie, aziende, consorzi, fondazioni e società), ha comportato per la Regione Emilia-Romagna nell’esercizio 2018 un impegno finanziario complessivo di 473,95 milioni di euro, in aumento rispetto al medesimo dato dell’esercizio 2017 (447,04 milioni di euro), importo in gran parte riconducibile a trasferimenti correnti (374,12 milioni nel 2018, dato, anch’esso, in aumento rispetto all’esercizio 2017, quando i trasferimenti correnti furono pari a 343,65 milioni di euro)».
Attraverso la partecipazione in 12 tra enti e organismi partecipati, la Regione Emilia-Romagna detiene poi partecipazioni indirette di primo livello in ulteriori 100 organismi di varia natura.
LE MANCATE CHIUSURE
Problemi nella gestione delle controllate emergono anche in Veneto. Secondo la Corte dei conti, in tutta Italia, «dagli esiti della revisione straordinaria emerge che il 37,35% delle società versa in condizioni da richiedere un intervento di razionalizzazione da parte dell’ente proprietario». Perché? Ci sono, ad esempio, società doppione, con più amministratori che dipendenti; e poi ci sono quelle semplicemente fantasma, di cui non si conoscono né bilanci né scopi. Sono 1.701, per la precisione: il record spetta al Trentino-Alto Adige (200 su un totale regionale di 354), seguito dalla Lombardia (177 su 688), Veneto (89 su 368), Piemonte (88 su 320) e Sicilia (82 su 229).
Tornando ai risultati economici ottenuti, la legge prevede che le partecipate che, per quattro volte nell’ultimo quinquennio, abbiano ottenuto risultati d’esercizio negativi vadano chiuse o accorpate ad altre. Così come dovrebbero sparire quelle prive di dipendenti o con un più amministratori che dipendenti. Dalla revisione effettuata dai giudici, su un totale di 4.603 società interessate, «1.719, il 37,35% del totale, versano in almeno una delle situazioni che richiederebbero un intervento da parte degli enti proprietari». Cioè, dovrebbero essere chiuse, eppure 7 su 10 sono state salvate.
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