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Mentre si avvia il lavoro, ingrato, della stesura della manovra finanziaria, sarebbe bene interrogarsi su cosa serva a questo paese per affrontare il problema della riduzione del suo deficit. Fino all’anno scorso il mantra era la spending review, cioè il taglio della spesa pubblica. Sembrava ci fossero foreste da disboscare e difatti abbiamo visto un succedersi di commissari, ricette, impegni e quant’altro. Non si è capito benissimo perché tutto si sia risolto praticamente in un buco nell’acqua…
Da una parte perché si è scoperto che in questo paese alla fine si può toccare ben poco, dall’altra perché si è visto che non c’è così tanto da tagliare a meno di non affrontare davvero un ridimensionamento dei nostri equilibri politico-sociali. Il combinato disposto delle due cose ha generato i frutti rinsecchiti che si hanno sotto gli occhi: qualsiasi cosa si voglia toccare c’è una corporazione che minaccia resistenze feroci (uno dei commissari alla spending review ha fatto l’esempio degli intoccabili sussidi all’ippica, non proprio un comparto strategico), mentre la soluzione che alla fine si adotta, i tagli sostanzialmente lineari (togliendo lo stesso a tutti nessuno può fare più di tanto la vittima), deprime la nostre possibilità di sostegno a settori chiave senza produrre peraltro risparmi risolutivi per la lotta al nostro deficit, che infatti continua ad aumentare.
Questa volta però si sta optando per un altro mantra. Visto che alla storia dei tagli della spesa non crede più nessuno (che fine ha fatto ad esempio la lotta alle “auto blu”?), si è tonati a quella della lotta all’evasione fiscale. Non è ovviamente una novità: anzi in molte manovre degli anni passati si inserivano puntualmente entrate presunte, ma quantificate, derivanti dalla lotta all’evasione (puntualmente rivelatesi mancanti in sede di consuntivo). Ovviamente ci sarebbe spazio per gradi risultati: se è stimata intorno ai 100 miliardi l’anno, recuperarne anche solo la metà ci libererebbe dalla necessità di negoziare una qualunque flessibilità con Bruxelles.
Il problema è che non si capisce bene come si possa davvero riuscire a rompere quello che è diventato a tutti gli effetti un sistema consolidato e più o meno accettato come “normale”. La soluzione del rendere detraibili dal contribuente tutte le spese documentate si è visto che funziona sino ad un certo punto, ma soprattutto che genera un problema di ingiustizia sociale: favorisce infatti chi può permettersi di spendere in maniera considerevole, abbassandogli di fatto il reddito e d conseguenza le tasse, mentre non dà che scarsi vantaggi a coloro che non hanno redditi abbastanza consistenti da permettere un flusso di spese rilevanti.
Adesso sembra si punterà sulla dissuasione all’uso del contante in favore di strumenti di pagamento elettronici, dunque più facilmente tracciabili. Ovviamente qualche risultato si otterrà, ma non si capisce ancora se sarà sufficiente. Immaginarsi che al bar, al negozietto sotto casa, all’idraulico o al tappezziere si paghi col bancomat è già arduo, soprattutto se si pensa che non stiamo parlando solo di contesti urbani sviluppati, ma anche di una grande rete di territori diciamo così periferici.
C’è poi tutta la questione del calcolo complesso del vantaggio che si conseguirebbe: differenti calcoli sull’Iva, ma che verrebbero poi rimborsati in un secondo momento, insomma un quadro in cui il cittadino medio farebbe fatica a raccapezzarsi. Di conseguenza sarebbe di nuovo soggetto al duplice imbonimento che gli pone il percettore-evasore della somma: vuole davvero fare l’antipatico e mettermi in difficoltà e non si accontenta di uno sconto (ipotetico) che le faccio su quanto dovrebbe darmi?
Come sa d’istinto la gran parte dei cittadini, è complicatissimo rompere la consuetudine di considerare il pagamento delle tasse come un “balzello”, una “gabella”, che in fondo se si potesse sarebbe meglio evitare. Padoa Schioppa disse una volta ingenuamente che pagare le tasse era bello, ma non ebbe una grande accoglienza: non c’è percezione diffusa che abbiamo tanti servizi perché paghiamo le tasse, anzi a molti i servizi sembrano scadenti (e a volte lo sono) rispetto a quel che costano allo stato (raramente identificato col contribuente). Oltre tutto il sistema di esazione nel nostro paese non è affatto amichevole, non fosse altro perché il principio è che è il singolo che deve da solo ricordarsi di pagare, saper calcolare lui quanto deve, e via elencando.
La lotta all’evasione fiscale è senza dubbio una priorità: l’Italia non uscirà dalla sua stagnazione sino a che non giungerà ad un equilibrio nella riscossione del gettito fiscale. È una questione di giustizia distributiva, ma è anche e soprattutto un problema di morale pubblica: e questo non è assolutamente un tema da sottovalutare.
Si tenga però conto che mettere mano alla questione delle tasse, significa purtroppo porgere il fianco alle manovre di tutti i populismi, perché sono temi su cui fare demagogia è anche troppo facile. Nella contingenza attuale è un genere di problemi che non si possono assolutamente sottovalutare.
Chiedere un sforzo di tutti, classe politica, opinion leader, agenzie di rappresentanza, perché si possa fare un deciso passo avanti nella normalizzazione del nostro sistema fiscale suona quasi utopico. Eppure per farci guadagnare un salto di qualità nella considerazione nostra e internazionale non ci sarebbe nulla di meglio.
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