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La banca popolare di Bari

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Per le imprese del Sud va assecondata una crescita con aggregazioni di popolari e una nuova spa con investitori privati, esteri e istituzionali

Ritorna il tema del credito al Mezzogiorno nel dibattito della calura agostana. Con soluzioni che alcune volte dimostrano superficialità e incompetenza. Il tema di fondo sul quale dibattere è se il credito è un elemento di fragilità del sistema imprenditoriale meridionale e la domanda successiva quali sono gli strumenti perché tale aspetti vengano superati e quali intermediari possono affrontare meglio tali aspetti di crisi.

Da decenni la problematica è stata affrontata ponendo l’attenzione sugli intermediari esistenti nell’area.  La teoria era: le banche esistenti sono inefficienti ed inefficaci perché danno il denaro ad un costo troppo elevato,  perché  razionano il credito dandolo a coloro che non lo meritano e negandolo a chi lo merita, quindi hanno una allocazione delle risorse non adeguata, e conseguentemente hanno una percentuale di crediti che non ritornano particolarmente elevata ( le cosiddette sofferenze). 

Quindi la teoria era: se sostituiamo gli intermediari inefficienti (Cassa di Risparmio per le province siciliane, Banco di Sicilia, Banco di Napoli e molte altre piccole e medie banche) con altre istituzioni più efficienti i problemi del credito si risolveranno.

  L’ESPROPRIO

A poco servirono le posizioni di alcuni studiosi, anche molto accreditati presso l’organo di vigilanza, come Giacomo Vaciago, Piero Alessandrini, Adriano Giannola ed altri, circa la debolezza dell’analisi  e che forse le motivazioni delle problematiche non attenevano alla fragilità degli intermediari, che pure c’era, ma al sistema economico debole, e che quindi la sostituzione dei fornitori di credito non avrebbe risolto il problema. 

Si continuò sulla strada dell’esproprio del sistema bancario meridionale, con conseguente quasi azzeramento dei patrimoni delle Fondazioni Banco di Sicilia e di Napoli,  e sostituzioni di  loghi e nomi in un processo che dal 1985 si è completato recentemente. Processo che ha permesso di “salvare “ alcune istituzioni bancarie nazionali che nella vulgata dovevano invece salvare le istituzioni che man mano assorbivano. Il caso del Banco di Napoli e della sua vendita, documentato dal presidente della Svimez  in un suo saggio, fu esemplare di un approccio distruttivo di un sistema bancario.

  L’ERRORE FATALE

L’errore, non si sa quanto in buona fede,  fu quello di lavorare sulla offerta di credito e non considerare le problematiche della domanda  e quelle del sistema di riferimento. Per quanto atteneva alla domanda non si considerò che il confronto tra tassi medi applicati non poteva essere fatto senza considerare  gli affidamenti medi. E cioè che è naturale che il tasso che viene praticato ad un grosso affidamento è normalmente più contenuto di quello che viene applicato ad un affidamento medio piccolo.  

Ed è altrettanto naturale che un sistema economico evoluto e forte come quello del Nord ha una percentuale di affidamenti media più elevata di quanto non possa avere un sistema piccolo e fragile come quello del Sud. E quindi se si confrontano i tassi medi senza “pesarli”, come veniva fatto normalmente, con i rispettivi affidamenti diventava naturale che il tasso medio praticato al Sud risultasse più alto. 

Altro elemento del sistema riguardava la rischiosità del credito, ovviamente e comprensibilmente, molto più alta. In un sistema debole e fragile la probabilità che una iniziativa imprenditoriale fallisca è più elevata che in un sistema più forte.  Come si può documentare facilmente. Tale differenza di rischiosità era ovvio che ricadesse sul costo praticato a tutta la clientela. Altro elemento da tenere in considerazione è la frammentazione del credito che porta ad avere nel Meridione, anche oggi , un affidamento medio più basso e quindi anch’esso più costoso.  Tutti elementi che non potevano cambiare con intermediari sedicenti più efficienti solo perché il loro management aveva un accento meno napoletano o siciliano.

Ovviamente la sostituzione degli intermediari non ha risolto i problemi del credito nel Mezzogiorno. I tassi sono sempre più elevati di quelli del Centro Nord, il razionamento è aumentato così come le sofferenze sono a livelli più elevati. Come era facilmente prevedibile visto che si è intervenuto sulla gamba sana  (l’offerta) invece che su quella malata (la domanda ) il paziente è rimasto zoppo. Strano che uffici studi importanti, malgrado il grido di pochi studiosi che non facevano parte del coro, non si siano resi conto dell’errore madornale che si stava facendo.

 LA SCELTA

Ma adesso il tema della Banca del Mezzogiorno, ripropone gli stessi temi nello stesso modo in cui si sono affrontati negli anni 80. E si pensa ad una banca, più o meno pubblica, che dovrebbe concedere credito più facilmente di quanto non faccia un sistema creditizio  articolato e dimensionalmente differenziato. Con la prospettiva di creare un altro elefante pubblico assistito, magari inquinato dalla politica per dare credito a chi non lo merita a spese dei contribuenti. 

Bene, non è questo che serve alla struttura imprenditoriale piccola e media del Sud. Serve invece che vi siano interventi importanti sul lato della domanda di credito. Per rendere il piccolo  credito per gli istituti di credito conveniente. Oggi non lo è affatto, perché le banche sono costrette a scegliere tra dare credito in perdita o non darlo, perché oltre certi limiti di tasso possono essere colpite dall’accusa di tasso usuraio.

  L’intervento va fatto quindi sui consorzi fidi, questi sì in parte finanziati dal pubblico,  che si carichino della selezione del credito  e della garanzia dell’affidamento, in modo da rendere conveniente prestare denaro laddove non lo sia senza tali interventi.  

L’altro elemento importante è quello di aiutare le banche nella gestione del frazionamento del credito, tipico delle realtà a sviluppo ritardato, con aiuti a meccanizzazioni spinte che consentano il trattamento di fidi medio piccoli, senza aggravi di costi particolari.

 Finora tutto questo non è stato affrontato ed il razionamento ovviamente è aumentato perché le banche torinesi o emiliane , correttamente, hanno dato credito solo alle fasce più tranquille e solvibili della clientela abbandonando, come le leggi del  mercato obbligano,  tutta quella fascia frazionata ed a rischio.

  LA SCELTA

Ma non sarà certamente una banca del Mezzogiorno a risolvere un problema di tal genere, come non lo ha risolto l’esproprio del sistema bancario meridionale degli anni passati. Come ben diceva Roberto Napoletano nel fondo di domenica scorsa, bisogna invece approfittare delle normative favorevoli per creare un primo grosso gruppo di popolari attorno a Popolare di Bari  con aggregazioni e nuova Spa con  investitori esteri, imprenditori privati, soggetti istituzionali in una logica di interconnessione con Cdp e mediocredito centrale e bisogna far crescere  Agricola di Ragusa. Ovviamente tutto ciò  non dimenticando che il problema del credito attiene più alla domanda che all’offerta.


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