I dati della mobilita sanitaria
4 minuti per la letturaNel 2017, ultimo dato disponibile, la mobilità sanitaria ammonta a poco più di 4,6 miliardi di euro, chi ha guadagnato e chi si è ritrovato con cifre in rosso nei propri bilanci?
La domanda appara quasi pleonastica: il Nord, fatta eccezione per il Piemonte, ha fatto cassa curando pazienti provenienti dal Mezzogiorno, e le Regioni del Sud si sono ritrovate a dover versare rimborsi milionari.
IL RAPPORTO GIMBE
È quanto emerge dal rapporto dell’Osservatorio Gimbe, i dati sono elaborati sulla base delle informazioni del ministero della Salute: la Lombardia la fa da padrone, avendo introitato 808 milioni (1,1 miliardi di crediti e 358 milioni di debiti); ma l’Emilia Romagna non è da meno (+357 milioni), seguono Veneto (+ 161 milioni), Toscana (+148 milioni), Friuli Venezia Giulia (solo + 4,5 milioni), perdono solamente Piemonte (-89 milioni) e Liguria (-56 milioni). Il Sud è in profondo rosso: la Campania si ritrova con un passivo di 302 milioni, la Calabria di 319 milioni, la Sicilia fa segnare un -239 milioni, la Puglia -181 milioni, la Basilicata -38 milioni, l’Abruzzo – 72 milioni, l’unica in attivo è il Molise(+16 milioni).
BOOM DELLA LOMBARDIA
Le Regioni con maggiori capacità attrattive, quindi, sono la Lombardia (25,2% dei pazienti) e l’Emilia Romagna (13,3% degli ammalati), che insieme ricevono oltre 2/3 della mobilità attiva; un ulteriore 27% viene attratto da Veneto (8,7%), Toscana (7,8%), Lazio (7,7%) e Piemonte (4,5%). Il rimanente 33% della mobilità attiva si distribuisce nelle rimanenti 15 Regioni, oltre al Bambin Gesù ( 195,4 milioni). Diversamente, le Regioni con maggiore indice di fuga sono Lazio (13,9%) e Campania (10,1%) che insieme contribuiscono a quasi un quarto della mobilità passiva; seguono Calabria (7,5%), Puglia (7,4%), Sicilia (6,5%). “Il valore della mobilità sanitaria tra le Regioni nel 2017 supera i 4,635 miliardi – si legge nel rapporto – una percentuale relativamente contenuta della spesa sanitaria totale, ma che assume particolare rilevanza per tre ragioni fondamentali.
I CRITERI SBAGLIATI
Se la sanità italiana viaggia a due velocità diverse è per l’iniquità dei criteri adottati per ripartire le risorse: oggi la Puglia (popolazione: 4 milioni e 100mila abitanti) ha circa 40mila dipendenti impiegati nel comparto sanitario, l’Emilia Romagna (4,4 milioni di residenti) ne ha 56mila, il Piemonte (4,3 milioni) 55mila, la Toscana 60mila, il Veneto 54mila. Ma come si arriva a tutto questo?
Bisogna fare un passo indietro e tornare al riparto del fondo sanitario nazionale: per determinare la quota che spetta ad ogni Regione, dovrebbero essere pesati quattro elementi: popolazione residente, frequenza dei consumi sanitari per età e per sesso, tassi di mortalità della popolazione, indicatori relativi a particolari situazioni territoriali.
ECCO DOV’È IL TRUCCO
Ma dove si nasconde il trucco? La quota capitaria, in realtà, è stata pesata, per circa il 40%, tenendo conto solo del criterio del sesso e dell’età, mentre gli ultimi due parametri non sono mai stati presi in considerazione. Utilizzando solo la ponderazione per età sono state privilegiate le regioni con una maggiore popolazione anziana, cioè quelle del Nord.
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La Puglia, ad esempio, negli ultimi 13 anni ha avuto tre miliardi in meno rispetto all’Emilia Romagna (LEGGI LA NOTIZIA).
Nel 2005 l’Emilia Romagna ha ricevuto una quota per abitante di 1.489,61 euro, mentre la Puglia 1.385,29 euro (un delta in favore dell’Emila del 104,32); nel 2006 si è passati a 1.538 euro contro 1.470; nel 2007 1.640 contro 1.562; nel 2008 1.689 contro 1.613 euro; sino al 2017, 1.803 euro contro 1.788. Se hai più soldi, puoi spendere di più e meglio, persino sforando il tetto imposto. Ed è quello che hanno fatto Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna: la legge Finanziaria del 2010 impose un vincolo alla spesa per il personale sanitario, ogni regione, fu deciso dal governo Berlusconi, avrebbe potuto investire al massimo la stessa somma del 2004 ridotta dell’1,4%.
VINCOLO BEFFATO
Un vincolo, però, che, come certifica la Corte dei Conti, è stato bypassato (LEGGI LA NOTIZIA): nel 2018, rispetto al 2004, al Nord i costi per assumere nuovi dipendenti negli ospedali sono lievitati di oltre il 23%, mentre al Mezzogiorno solo dell’8,5%. Uno scarto di quasi 15 punti. Meno soldi da investire e meno personale, uguale meno servizi da offrire al cittadino. E i pugliesi se ne accorgono tutte le volte che sono costretti a mettersi in fila davanti ai Centri unici di prenotazione (Cup) degli ospedali per fissare una visita specialistica o un esame. Tempi di attesa biblici che hanno due conseguenze: chi può, sempre meno, mette mani al portafogli e paga di tasca propria; gli altri, la maggioranza, ricorre ad ospedali fuori regione.
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