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C’è qualcosa di veramente misterioso che gonfia il petto per gli strilli dei Governatori padani. Fingono di avere qualche numerino sconosciuto ai più, ma ancora prima alle regole generali della contabilità e degli Stati unitari o federali, per non parlare della decenza, che li fa reclamare senza rossore la “restituzione” di non si capisce che per sanare l’ingiustizia perpetrata da non si capisce chi.

Hanno la pancia piena di una abbuffata di decine e decine di miliardi l’anno (61, per la precisione) indebitamente sottratti alle donne e agli uomini del Mezzogiorno per trasferirli in mille rivoli assistenziali nei portafogli dei loro cittadini-elettori e si permettono di pretendere, oltre ogni limite, di avere restituito ciò che loro dovrebbero restituire con gli interessi e la recita di una cinquantina di rosari se non vogliono perdere la speranza che qualcuno possa pensare di assolverli un giorno dai loro peccati.

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La banda del buco del Grande Partito del Nord, di cui loro fanno oggi autorevolmente parte, ha inventato il gioco delle tre carte di Pontida e Varese, che ha fatto fare la figura dei principianti a quelli di Forcella. Di che si tratta? Con destrezza lumbard, nel silenzio complice di tutti, hanno buttato nel cestino le due carte – livelli essenziali di prestazione e fabbisogni standard – che sono imposte dalla Costituzione e perfino dalle regole federali dell’ex ministro leghista Calderoli, ma danno il giusto ai meno ricchi e per questo (solo per questo) non sono stati mai dolosamente determinati. Sul tavolo resta solo la terza carta che è la moneta dei ricchi e, cioè, la spesa storica perché li fa stravincere e ne arma le mani predoni dentro la cassa pubblica.

Ogni anno i lamentosi signorotti della politica del Nord vanno al bancomat dello Stato e inseriscono la moneta telematica che ha il cambio della refurtiva incorporato. Ogni anno assumono sempre più gente, buttano soldi qua e là, aumentano la spesa storica e, poi, il bancomat paga in contanti per ogni loro desiderio. Ignorano i “Governatori” che in uno Stato unitario o federale esiste un atto costitutivo che tiene insieme diritti e doveri tra cittadini e Stato e che questo patto nulla ha a che vedere con il genetico e generico diritto del mitizzato territorio del Nord.

Anche se si accondiscendesse a questi inammissibili (e penosi) conti territoriali di dare e avere in salsa leghista, mai emergerebbe una quantificazione legittima di pretese ma un obbligo costituzionale cogente di restituzione di tutto ciò che è stato fino a oggi egoisticamente rubato dal Nord al Sud attingendo alla spesa pubblica, ignorando i diritti di cittadinanza di molti. Tutto ciò, principi, metodo, numeri (veri) non quelli loro (mai esibiti) e, tanto meno, quelli falsi raccontati dalla portavoce-Pinocchio in Parlamento, la ministra Erika Stefani, i Governatori fanno finita di non sapere, di non vedere, di non sentire, confermando che c’è del metodo nella follia. Questo metodo fa cadere la maschera e rivela il loro vero obiettivo: farsi Stato.

STORIA DI “GALLO” E “PAGLIETTA”

A Napoli, questo agitato strombazzare è argutamente assimilato alla mattutina performance del “gallo ‘ncoppa ‘a munnezza” che, a pieni polmoni, come un brontolone di provincia, ripete il suo antelucano verboso rituale. Sempre a Napoli, l’insistenza fastidiosa di certi comportamenti, per cui la questione delle quote latte è un problema di Stato e la Regione Emilia Romagna si ritaglia il ruolo di concorso esterno in autonomia differenziata, l’inevitabile, supplementare, carico di quotidiane litanie sull’autonomia “virtuosa” configura un mestiere ben noto, quello del “paglietta”. Personaggio retorico e inconcludente ma pericoloso se – come accade nelle pianure del Nord – governa milioni di ricchi, male informati, decadenti fedeli. Per evitare equivoci, nella settimana che si propone (auspicabilmente e verosimilmente solo a parole) di definire una proposta di autonomia differenziata e di presentarla all’approvazione del Consiglio dei ministri, vogliamo riepilogare alcuni punti fermi e alcuni punti interrogativi che il nostro lavoro di inchiesta giornalistica ha messo a fuoco in questi mesi. Ci rivolgeremo di volta in volta al “gallo” o al “paglietta” di turno avendo, però, la consapevolezza di sottolineare che questi bizzarri elementi comportamentali emergono solo quando si parla di autonomia e di cassa pubblica a testimonianza che si tocca un nervo scoperto.

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In più circostanze, e intendo qui ribadirlo, abbiamo parlato della buona amministrazione dei territori del Nord (non tutti e non sempre, ovviamente) e dei loro Governatori, nonché della forza del tessuto civile. Il punto da noi posto nell’interesse del Nord quasi prima che del Sud, è quella di una più equa distribuzione delle poche risorse pubbliche perché si smetta di pensare che tutti i soldi pubblici nazionali per fare investimenti siano proprietà delle regioni ricche e alle regioni povere restino solo i fondi comunitari come un Paese terzo a cui, poi, puntualmente si sottraggono i cofinanziamenti nazionali per soddisfare l’ultima corporazione di turno nordista tipo quote latte e dintorni. Per fortuna, non siamo più soli, e siamo certi che l’operazione-verità avviata da questo giornale avrà nell’indagine conoscitiva proposta dalla presidente della Commissione Finanze della Camera, Carla Ruocco, una sede competente e attenta. Sottoponiamo, di seguito, alcuni elementi di valutazione.

STORIA DEI 61 MILIARDI E DINTORNI

a) I dati dei conti pubblici territoriali più aggiornati misurano algebricamente la spesa del settore pubblico allargato e sono inequivoci. Sono gli unici completamente veritieri (qualcuno informi la ministra Stefani) perché riguardano amministrazioni centrali, Regioni, Province, Comuni, Comunità montane, Inps, Anas, Ferrovie, e così via. Il conto è presto fatto: a una popolazione del Sud pari al 34,3% corrisponde il 28,3% della spesa pubblica, al 65,7% della popolazione del Centro-Nord arriva il 71,7%. Balla il 6% che viene indebitamente sottratto al Sud povero e regalato al Nord ricco. Sono 61 miliardi l’anno, avete capito bene. C’è qualcuno disposto a chiedere al “gallo” o al “paglietta” nordisti, alla loro prima egoistica lamentazione general generica, di mettere mano al portafoglio e di cominciare a restituire quanto di ciò arbitrariamente sottratto da almeno dieci anni in qua?

b) Come è stato possibile tutto ciò? Lo abbiamo già detto, hanno fatto il gioco delle tre carte e continuano senza un minimo di decenza a ben guardarsi dal definire i Lep e i fabbisogni, concepiscono di aggredire anche la cassa delle amministrazioni centrali dove la Costituzione e le regole generali di uno Stato unitario vengono rispettate. C’è qualche motivo, governatore Zaia, governatore Fontana e, in concorso esterno, governatore Bonaccini perché a dieci anni dalla legge Calderoli non solo non si varano i parametri per rispettare i diritti di cittadinanza dalle Alpi a Pantelleria, ma addirittura non trovate il tempo neppure per costituire un Fondo di perequazione tra Regioni come, almeno formalmente, hanno fatto i Comuni? Di che cosa avete paura? Volete togliere alle Regioni del Sud indebitamente penalizzate lo strumento giuridico per agire e chiedervene conto nelle sedi giudiziarie competenti? Il “gallo” e il “paglietta” hanno nulla da dire, in proposito, tra un’ingiustificata lamentazione e l’altra?

c) Siete a conoscenza che nella sua classica definizione di federalismo fiscale di stampo cooperativo, J.M. Buchanan esplicitò negli anni 50 il criterio di equità orizzontale che ritroviamo nello spirito della riforma del titolo V sintetizzato dal motto: si trattano in modo uguale gli uguali. In base a questo principio FEDERALE “un individuo dovrebbe avere la garanzia che dovunque egli desideri risiedere nella nazione, il trattamento fiscale complessivo che egli riceverà sarà approssimativamente lo stesso”. Ho parlato un linguaggio difficile? Allora mi spiego meglio: che giudizio avrebbe, governatore Zaia, di una persona con un reddito X che paga regolarmente le sue tasse e vorrebbe che lo Stato si impegnasse a investire il gettito delle sue tasse per rifare per la terza volta la villa comunale (attualmente in ottimo stato) su cui si affaccia la sua abitazione mentre le strade comunali continuano ad essere piene di buche, il pronto soccorso dell’ospedale perde pezzi, e così via? Ci pensi un attimo è quello che state chiedendo di fare voi trattenendo una cassa che nessuno è neppure in grado di determinare e che anche voi avete difficoltà a mettere nero su bianco in documenti da presentare nelle sedi competenti? Che cosa ve lo impedisce? Perché non lo fate?

d) Per evitare equivoci la base del patto sociale nel quale si riconosce una comunità, sia che si organizzi in modo federale che unitario, non consente simili giochetti, non sa che cosa sia il presunto diritto alla restituzione del cosiddetto residuo fiscale che nessuno sa e potrà mai davvero sapere che cosa esattamente sia. In una comunità di eguali dove il trattamento fiscale deve essere approssimativamente lo stesso e dove i principi di solidarietà sono fondanti, questo oggetto misterioso di cui si narra nelle vallate del Nord non ha neppure diritto di asilo. Diverso è il caso di uno Stato Confederale che collega comunità diverse e dove il principio di equità orizzontale vale all’interno delle singole comunità e non per individui di comunità diverse, modello al quale di fatto aspira il sedicente regionalismo a geometria variabile che intende realizzare il regime di autonomia rafforzata. Si tratta di questo? Sì, allora ditelo: volete farvi Stato? Tutto si può fare, ma bisogna dirlo e non bastano di certo referendum consultivi e le compiacenze del mite Gentiloni, premier pro tempore, per fare sparire l’Italia senza nemmeno chiedere ai cittadini italiani di esprimersi tutti nell’urna. Qualcuno, tra una lamentazione e l’altra, del “gallo” o della “paglietta” di turno, potrà spiegare questi elementari ragionamenti?

e) Siete al corrente che la Ragioneria dello Stato in un documento a uso interno ha fatto presente che se non sanate i difetti costituivi di questo federalismo all’italiana, il federalismo dei ricchi, il volume di criticità mette a rischio l’intero impianto in vigore? Non quello che follemente sognate?

f) Qualcuno vi ha informato che 65 Comuni del Sud si sono rivolti al TAR del Lazio perché ricevono zero euro spaccato per asili nido e altra spesa sociale garantita dai diritti di cittadinanza e che la presidenza del TAR ha chiesto al ministero dell’interno una “documentata relazione” relativa alla questione perché da questo ministero dipende il fondo di perequazione tra Comuni? Qui almeno hanno avuto la decenza di costituirlo

g) Sapete che cosa è successo, di saccheggio in saccheggio del Nord al Sud dalla cassa di Stato, nella mappa dell’impiego pubblico? Che la capitale del posto fisso è diventata il Nord Est che ha 4,9 dipendenti pubblici ogni mille, ultimo censimento Istat, contro i 4,5 del Sud, isole comprese? Non vi sembra che dietro questi numeri non c’è solo la fine di un luogo comune insopportabile ma anche l’alterazione del corso sano di flussi pubblici che si traducono in assistenzialismo al Nord (non ne ha bisogno) e tolgono risorse per gli investimenti al Sud fino ad azzerarle? Ma dove ci condurranno mai logiche così miopi e regressive?

h) Che cosa dire del rapporto sulla finanza pubblica della Corte dei conti che segnala che le Regioni del Nord hanno assunto dieci volte di più di quelle del Sud e che gran parte del buco (copre tutto il bancomat della spesa storica) viene da tre regioni a statuto ordinario del Nord, nell’ordine Piemonte, Liguria e, meno, Toscana?

i) Come si fa a parlare con tanta leggerezza di residuo fiscale di una regione piuttosto che un’altra in uno stato unitario o federale che dir si voglia? Ma davvero volete ripetere, anche su questo versante, la figuraccia fatta dalla ministra Stefani sulla regionalizzazione della spesa pubblica? Volete anche voi sentirvi dire che i numeri esposti sono fragili, indimostrabili, comparativamente lacunosi, comunque senza diritto di cittadinanza in uno Stato federale? Come si fa a dire che una tassa pagata in una determinata città è frutto del lavoro di quella città mentre il reddito prodotto potrebbe essere (molto spesso è) il frutto del lavoro di altri cittadini italiani svolto in altri territori? E poi, come li calcolate? Che cosa rispondete al presidente della Svimez, Adriano Giannola, che sostiene che dovete almeno scalare gli interessi che percepite sui titoli di Stato perché “rappresentano una spesa erogata a titolo di servizio del debito pubblico” che una prassi consolidata non computa anche se resta una delle poste con un significativo impatto redistributivo?

QUEI NUMERI AL LOTTO

Il ragionamento di Giannola è il seguente: vista la pretesa del diritto alla restituzione in base a un presunto residuo fiscale che sottrarrebbe risorse da un territorio per finanziare un altro territorio (aggiungo io come sarebbe giusto, ma come qui non avviene perché l’abbuffata di spesa pubblica sottratta dal Nord al Sud ammazza tutto) allora questo dato va integrato con l’imputazione territorialmente corretta della spesa pubblica impiegata per corrispondere il servizio del debito. Tanto più che (equivalenza ricardiana) il valore delle imposte presenti e future necessarie a soddisfare il debito tende a coincidere con l’ammontare degli interessi percepiti dai detentori del debito. Per questi, insomma, gli interessi percepiti sono una forma di restituzione di imposte. Secondo Giannola e tanti altri, quindi, anche in termini quantitativi questo presunto residuo fiscale non avrebbe nulla da spartire con i numeri al lotto dati al bar o sui giornali, mai in documenti ufficiali presentati oggi all’esame del governo, ma si ridurrebbe a poco più di un terzo di quanto indebitamente acquisito di anno in anno dalle Regioni del Nord con la spesa pubblica non dovuta.

Potremmo dire: di che cosa parliamo? Invece no, la nostra critica è molto più radicale: questo numero (qualunque sia la sua dimensione) in uno stato unitario o federale non può essere frutto di “appropriazione indebita” da parte di chicchessia e minerebbe, tra l’altro, in modo clamoroso, unico al mondo, le ragioni fondanti dello Stato e quelle altrettanto importanti (obbligate) di perequazione fiscale. Senza di esse non esisterebbe lo Stato, siamo stati chiari? Ma come vi permettete di dire li spendo io questi quattrini (molto molto meno di quello che pensate voi) quando sono dell’intera comunità nazionale? Certo che possono essere vostri – solo vostri se esistono. – Ma vi dovete perlomeno fare uno Stato per i fatti vostri. Ovviamente non vi conviene, ma se avete tanta voglia di consegnarvi mani e piedi a francesi, tedeschi, cinesi, che farebbero di voi un solo boccone, accomodatevi. Perché ciò avvenga, ancorché masochistico, dovreste almeno svestire i panni del “paglietta” e dire come stanno le cose. Soprattutto, dovreste dire al “gallo” di cantare un’altra canzone.


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