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Il ministro Stefani, il presidente Conte e il vicepremier Salvini

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C’è un fronte largo pronto a battersi contro “l’autonomia ladrona”.  Uno schieramento trasversale sostenuto anche da chi finora ha preferito non uscire allo scoperto per evitare altre turbolenze nella maggioranza. Il primo risultato è aver stoppato in Consiglio dei ministri la “vittoria lampo” che gli esponenti del Carroccio avevano previsto sull’onda del trionfo olimpico Milano-Cortina.

Il fronte ha tenuto: l’accelerazione impressa dalla ministra per gli Affari Regionali Erika Stefani al progetto delle autonomie differenziate di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna è fallita. E così anche la via breve di semplificare le procedure, ridurle addirittura ad una semplice “informativa” alzando il tiro sulla secessione veneta.  L’altolà della Corte dei Conti, la questioni di incostituzionalità e, dulcis in fundo, il dossier fornito dall’Ufficio legislativo di Palazzo Chigi al premier Giuseppe Conte, hanno fatto arretrare il progetto. Sventato per ora dunque lo scenario di un  Veneto/Catalogna, con Lombardia ed Emilia Romagna regioni a statuto speciale.

La spesa pro-capite destinata ad aumentare, il rischio che l’autonomia regionale stabilita dall’art. 116 della Costituzione entri in conflitto con le competenze dello Stato (art.117) e i rischi per il bilancio statale: un combinato disposto che ha fatto scivolare fuori dall’ordine del giorno del Cdm di ieri la questione del federalismo rafforzato sostituita da una tema meno ustionante, “misure urgenti in materia di personale delle fondazioni lirico sinfoniche”.

IL PROCURATORE

Il testo della Stefani, giudicato “frettoloso”, “incompleto” e “pericoloso”, è stato rispedito al mittente. E la ministra, senatrice del vicentino, con alle spalle l’unica esperienza di assessore nel piccolo comune di Trissino, è finita sotto accusa. Ma la cosa peggiore  per la Stefani doveva ancora arrivare. È stato ascoltare, impassibile,  ieri mattina, la durissima requisitoria del procuratore generale  della Corte di conti Alberto Avoli all’annuale cerimonia di rendicontazione. Il passaggio in cui si valutavano «assai deleteri gli effetti delle autonomie trainanti se essi finissero per far crescere solo alcune regioni chiuse in una visione territoriale puramente localistica».  «L’incremento dei contenuti delle autonomie –  ha ammonito Avoli – implica il rafforzamento del principio di responsabilità. E responsabilità e autonomie devono crescere in simbiosi».

AL VIA L’INDAGINE RUOCCO

Il M5S incassa una vittoria di tappa, ma non calca la mano per non far saltare il banco. Il vice-premier Di Maio è convinto che alla fine prevarrà il buon senso. E anche Roberto Fico, il presidente della Camera, dietro le quinte resta “sul pezzo” pur ostentando  un distacco da casco blu. La più decisa sembra essere Carla Ruocco, presidente della commissione Finanza della Camera. La sua indagine conoscitiva sugli effetti dei provvedimenti fiscali degli ultimi dieci anni andrà avanti e ci saranno molte audizioni. Esponenti di altre forze politiche, come ad esempio, l’azzurra Stefania Prestigiacomo, seguono con interesse il nuovo asse che si sta formando. Ci sono anche Pd, Art.1 e +Europa., spiega la Ruocco: «Serve una presa di coscienza di tutte le inesattezze che girano intorno ad un argomento così serio trasformato in slogan elettorale». E aggiunge: «Quando si parla di fisco è fastidioso vedere come si trasformi spesso in materia di campagna elettorale. Anche perché alla fine a pagare sono tutti i cittadini»

METODO FONTANA

E Salvini? Se il capitano l’ha presa malissimo,  i governatori delle tre regioni autonomiste anche peggio. Stefano Bonaccini, presidente Emilia-Romagna s’è detto «stanco di questo balletto: devono dirci se davvero vogliono sedersi intorno ad un tavolo e coinvolgerci o se invece salta tutto».  Parole pesanti come pietre dal governatore veneto Luca Zaia: «Sono deluso, è stato come ricevere uno schiaffone in faccia, 5 milioni di veneti presi in giro».  Surreale infine  la soluzione suggerita dal presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana: «Invece di dire “non è scritto bene” iniziamo ad approvare quel testo, poi si discuterà». Quando si dice una questione di metodo.


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