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I prezzi della benzina nel Sud sono da sempre più alti. Basta guardare l’ottimo sito del Ministero dello Sviluppo Economico che riporta tutti i giorni i prezzi delle migliaia di distributori carburanti sparsi in tutta Italia. Lo scorso 5 giugno in Veneto il prezzo medio della benzina self service era di 1,59 per litro, mentre in Sicilia era 1,61, in Campania e Basilicata 1,63 e in Calabria 1,65. Ciò è dovuto al fatto che al Sud la rete è meno efficiente, fatta di punti vendita dove l’erogato è inferiore, pertanto con costi unitari superiori. La concorrenza poi, accentuatasi al Nord, nel Sud è stata inferiore, per l’assenza di depositi dove fare entrare facilmente carburanti di importazione. Mentre da Marghera, a Venezia, o a Ravenna è facile importare, sui depositi di Vibo Valentia, Napoli, Bari o Palermo questo non accade. In questi giorni in cui il prezzo del petrolio è caduto, i prezzi alla pompa dei carburanti seguono più lentamente il ribasso internazionale nelle aree dove la concorrenza è meno accentuata.
Che il Sud paghi di più è un po’ strano, perché il grosso della capacità di raffinazione del petrolio, quella che prende il greggio e lo trasforma in prodotti, è concentrata al Sud, in particolare in Sicilia. Le raffinerie di Milazzo, Augusta, Siracusa, Taranto, lavorano qualcosa come 30 milioni di tonnellate di greggio di petrolio ogni anno, ma si trovano in regioni dove il mercato non supera i 10 milioni di tonnellate. Lavorano pertanto soprattutto per le esportazioni all’estero, su grandi navi da 30-50 mila tonnellate, mentre la benzina che viene venduta nei distributori che si trovano a poche centinaia di metri dalle colonne di distillazione viene da depositi più lontani.
Il paradosso si aggrava per la Basilicata, la regione d’Europa con la più alta produzione di petrolio, ma con prezzi della benzina che sono fra i più alti d’Italia, sempre per motivi legati ai costi di distribuzione. In Val d’Agri, dove si producono 4 milioni di tonnellate di petrolio ogni anno, il prodotto arriva dal deposito di Napoli distante 170 chilometri. Bello sarebbe andare a Tramutola, dove affiora da millenni petrolio nel torrente Fossatello, raccogliere qualche barattolo e metterlo nel serbatoio. Il petrolio tal quale non si usa, se si mettese nel serbatoio, il motore sarebbe da buttare dopo qualche decina di metri. Va sempre raffinato, in prodotti che sono diventati molto sofisticati per fare funzionare auto sempre più performanti.
Per rispondere alla stranezza che i lucani paghino di più la benzina, nonostante la loro produzione di materia prima, ci si era inventati il bonus carburanti, meccanismo attraverso il quale una parte dei proventi dalla vendita del petrolio veniva restituita ai cittadini. La complessità e le polemiche hanno limitato a soli 3 anni, fino al 2013, il suo utilizzo, oggi sostituito con un fondo sviluppo economico. Il trasferire alla gente del posto parte dell’enorme ricchezza generata dall’oro nero è un problema irrisolto in tutto il mondo. Ne è una dimostrazione che sia ancora fermo l’impianto di Tempa Rossa, 20 chilometri da quello della Val d’Agri che, dopo un investimento della Total e della Shell da 1,5 miliardi di euro era pronto per partire già un anno fa. Ci fosse uno strumento per garantire prezzi della benzina più bassi in tutta la Basilicata, l’inspiegabile ritardo, a 21 anni dalla scoperta del giacimento, non ci sarebbe stato.
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