Un omicidio di camorra
4 minuti per la letturaAvrebbe provato a modificare il suo account di Facebook, Armando Del Re, il 28enne, considerato dagli inquirenti l’autore della sparatoria avvenuta il 3 maggio scorso, in Piazza Nazionale. L’azione di fuoco ha portato al ferimento dell’obiettivo del raid, il 31enne Salvatore Nurcaro, della piccola Noemi (le cui condizioni di salute sono date in netto miglioramento) e della nonna di quest’ultima (raggiunta di striscio da un proiettile). Del Re (arrestato ieri insieme al fratello 18enne, Antonio) non avrebbe saputo fare a meno del proprio profilo social e per questo, avrebbe tentato di «mimetizzarsi» per confondere le forze dell’ordine, ricorrendo a un alias, Antonio della Pietra. Perché la camorra è cambiata, è diventata 3.0 e sembra non riuscire più a muoversi senza l’ostentazione nella piazza virtuale.
LA BACHECA DEL GANGSTER
E allora, andando sulla bacheca del 28enne, è possibile vedere come riceva l’assenso, tramite un like o un commento favorevole, di rampolli di malavitosi di calibro pesante. Ad esempio, in calce a una foto postata da Del Re, appare il “mi piace” del figlio di un capo degli Scissionisti, clan dell’area nord di Napoli, che 15 anni fa ha sferrato l’offensiva contro l’organizzazione guidata da Paolo Di Lauro, dando vita alla prima faida di Scampia. Da quando Facebook e Instagram sono diventati aspetti, per certi versi principali, della vita sociale dell’uomo contemporaneo, i camorristi se ne sono «appropriati» utilizzandoli espressamente per due scopi: l’ostentazione del potere, della forza e della ricchezza, e il messaggio di sfida. Entrambi i fattori si rivolgono non solo ai sodali, ma soprattutto ai rivali.
I primi a muoversi su questo versante sono stati i gruppi malavitosi dell’area orientale, quelli di Ponticelli, che hanno inaugurato il nuovo corso. Con il passare degli anni sono poi emerse altre realtà, soprattutto del centro storico napoletano. Proprio a Forcella, infatti, muove i passi quello che può definirsi sicuramente il primo boss social della storia della camorra: Emanuele Sibillo. Rolex e altri gioielli, soldi, armi e abiti di marca «sbattuti» in faccia ai «nemici» per dimostrare tutta la potenza. Si arriva dunque, attraverso le cosche della Sanità all’annuncio di sparatorie e stese (cortei armati in scooter) da effettuare nei confronti dei rivali.
Nel Rione che diede i natali al Principe della risata, l’indimenticabile Totò, la guerra si combatte pure su Facebook. C’è una pagina, attraverso la quale, i componenti dei clan in lizza, si fronteggiano con post minacciosi, dai contenuti impubblicabili, che si offendono in maniera pesante e che affondano il colpo, quando individuano nelle fila dei contendenti, un parente o un ex affiliato, passato a collaborare con la giustizia.
Lo scontro (che è stato rilevato sui social lo scorso aprile) si fa ancora più acceso tra un ex pentito della Sanità e i sostenitori della malavita di Forcella. Tra accuse di infamia e sfide a confrontarsi dal vivo, e non nascondendosi dietro una tastiera (naturalmente il linguaggio usato è estremamente offensivo e utilizza termini volgari), si arriva perfino a tirare in ballo, facendo nomi e cognomi, amanti delle mogli di boss in galera, o facendo allusioni sull’orientamento sessuale di alcuni camorristi.
PINA, LA YOUTUBER
E naturalmente provando a sminuire in ogni modo il peso criminale dei rispettivi nemici. Contro i pentiti si schiera apertamente anche quella che è stata ribattezzata la «youtuber del sistema», tale Pina, che si autodefinisce «la diva». Obiettivo delle filippiche della donna, i cognati Giuseppe Sarno (collaboratore di giustizia) e Patrizia Ippolito. Entrambi, mentre si trovano in località protetta, utilizzano Facebook per collegarsi in diretta con i loro contatti. Quel video che è possibile ancora trovare in rete, attira le «aspre» critiche di Pina e dei familiari di tanti detenuti, che si dichiarano danneggiati dalle dichiarazioni del pentito di Ponticelli (Sarno, appunto). Lo ribadiamo, i social sono uno strumento a cui i malavitosi raramente sanno rinunciare. Perché ne esalta la natura fatta di ostentazione. D’altronde, bisogna sottolineare un assunto: da sempre la camorra si nutre di consenso.
PER UN LIKE IN PIÚ
E il camorrista 3.0, allo stesso modo si nutre di like, di sostegno (nulla incide se può sembrare soltanto virtuale) alle proprie azioni, alla propria ricchezza, alla propria identità di malavitoso. Ma c’è una cosa a cui, attraverso l’utilizzo dei social, chi fa parte di una organizzazione criminale punta costantemente: il riconoscimento nella gerarchia del sistema, vuole essere considerato boss e vuole che il suo nome sia associato continuamente alla malavita. È per questo che chi appartiene a tali categorie, posta spesso foto in cui oltre a denaro, armi, e gioielli sono in bella mostra i tatuaggi che identificano il clan di appartenenza. Il proprio nome o la sigla dell’identità scritta sulla pelle è immancabile sulle bacheche dei camorristi. Come pure riveste importanza fondamentale la dichiarazione di fedeltà da parte degli affiliati, che si fanno tatuare il nome o il simbolo del gruppo in cui si schierano. Le foto che pubblicano sul proprio profilo serviranno, in questo caso, a «onorare» i padrini e ad avvisare i nemici.
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