Il Tar del Lazio
4 minuti per la letturaLa prima udienza è in programma il 22 maggio, davanti al Tar del Lazio. E, questa volta, i sindaci sono decisi ad andare fino in fondo, a colpi di ricorsi e carte bollate. «Una battaglia di giustizia sociale ma anche con l’obiettivo di far recuperare voce e dignità al Mezzogiorno. La nostra protesta può mettere in difficoltà anche quell’autonomia differenziata a trazione leghista e tutta a vantaggio delle Regioni più ricche del Nord».
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Micaela Fanelli, capogruppo del Pd nel consiglio regionale del Molise, è un po’ l’anima della protesta dei sindaci contro lo “scippo” di risorse che dal Mezzogiorno prendono la strada del Centro-Nord. Con il risultato, ad esempio, che ci sono Comuni che, a parità di abitanti e di composizione sociodemografica, vengono trattati in maniera molto diversa. Basta considerare quello che avviene a Casoria, provincia di Napoli: 77mila abitanti, 2.200 bambini e zero euro per gli asili.
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L’esatto contrario di Imola, stesso numero di abitanti, 2.900 bambini entro la soglia dei 4 anni e una dote di 4,5 milioni per gli asili. Più o meno quello che capita a Riccia, a un pugno di chilometri da Campobasso, dove Micaela Fanella è stata sindaca per circa dieci anni: «Con 91 bambini al di sotto dei quattro anni, lo Stato ha deciso di assegnare un fabbisogno pari a zero, come se questi bambini non esistessero». Un’infanzia negata.
MOVIMENTO DAL BASSO
Nelle scorse settimane, la consigliera del Pd, è riuscita a mettere insieme un gruppo di sessanta Comuni, tutti pronti a dare battaglia a colpi di carta bollata su quel federalismo fiscale che toglie ai poveri per dare ai ricchi. Un meccanismo perverso che ha un nome e un cognome: Fondo perequativo fra i Comuni. E i cui effetti sono stati meticolosamente raccontati nel libro “Zero al Sud” del giornalista Marco Esposito, un volume subito trasformato nel “detonatore” di una protesta latente che ora, però, si sta allargando a macchia d’olio. Accanto ai Comuni molisani, ce ne sono altri, sparsi un po’ in tutto il Mezzogiorno, pronti a scendere in campo con nuovi ricorsi. «Mi risulta che c’è un gruppo campano che si sta muovendo – spiega Fanelli – Si tratta di un movimento nato dal basso e che ha una forza autopropulsiva molto forte. E’ come se, in qualche maniera, i sindaci del Mezzogiorno avessero aperto gli occhi e scoperto di essere finiti in un’Italia di serie B».
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I RICORSI
Quattro Comuni in Puglia hanno già presentato un ricorso al Presidente della Repubblica: dovrebbe essere incardinato entro la fine del mese. Poi, si vedrà. Movimenti anche in Calabria, dove il Consiglio comunale di Cinquefrondi ha affidato le proteste nelle mani del suo ufficio legale.
Il conto alla rovescia è già cominciato: ci sarebbero ancora un paio di settimane, fino al 17 maggio, per trasformare il malcontento in una protesta formale. Ma, in ogni caso, se il Tar dovesse accogliere le motivazioni dei Comuni molisani, sarebbe già una segnale molto importante. «In questo momento il vento politico non soffia certo a nostro favore – insiste Micaela Fanelli – C’è tanto timore, in giro, per la presunta avanzata della Lega anche al Sud. Sono pochi quelli che hanno il coraggio di intraprendere una battaglia vera su questo fronte.
L’Anci, ad esempio, ci sostiene ma solo per la parte del nostro ricorso che riguarda la quota del fondo perequativo che è stata sottratta a tutti i Comuni. La nostra speranza è che, nel frattempo, esplodano le contraddizioni del governo, fra l’anima della Lega e quella dei Cinquestelle. E, se il Tar ci dà una mezza ragione, riaffermando i principi contenuti nella Costituzione, la nostra battaglia può dare un colpo decisivo anche all’autonomia differenziata chiesta dalle tre regioni del Nord più ricche.
Se dovesse passare, al Sud avremmo ancora meno servizi rispetto a quelli attuali». Al centro della contesa i criteri alla base della ripartizione del Fondo di Solidarietà fra i Comuni del 2019. L’ultima legge di Bilancio non ha fatto altro che “fotocopiare” la situazione precedente. Ma la storia si trascina da anni, indifferentemente dal colore politico dei premier che si sono sistemati a Palazzo Chigi. Lo “scippo al Sud”, da questo punto di vista, è trasversale. Nel mirino dei sindaci c’è sicuramente la decisione dello Stato centrale di trattenere circa 500 milioni del fondo, nonostante si tratti di soldi prelevati direttamente dalle tasche dei contribuenti attraverso l’Imu.
IL RIPARTO DELLE RISORSE
Ma la vera battaglia è quella sul riparto delle risorse deciso attraverso il parametro della “spesa storica” e non dei “fabbisogni standard” come pure vorrebbero le norme e, soprattutto, i principi costituzionale sulla parità di trattamento fra i comuni della Penisola, indipendentemente dalla loro posizione geografica. «Invece, ci troviamo di fronte a criteri stravaganti e illegittimi per il calcolo del fabbisogno – insiste Fanelli – perché le risorse destinate a uno stesso servizio essenziale sono definite non in base a necessità che variano di anno in anno, ma su quella della spesa storica».
Anomalie che, di fatto, conclude la consigliera regionale, «si trasformano in tagli ombra per i Comuni del Sud e in un rimpinguamento delle casse per quelli del Nord».
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