Per erogare i servizi sociali ai propri cittadini i Comuni della Calabria spendono 52,92 euro pro capite, i Comuni della Campania spendono 74,23 euro pro capite, quelli della Puglia 98,28 euro, in Basilicata 89,09 euro. Cifre ben diverse da quelle che spendono i Comuni della Lombardia, dove per i servizi sociali vengono “dedicati” 147,22 euro pro capite, oppure i Comuni dell’Emilia Romagna (151,70 euro pro capite), o quelli della Toscana (141,43 euro pro capite). In sostanza, i Comuni delle Regioni del Sud spendono meno dei Comuni del Centro Nord, ma contemporaneamente offrono meno servizi.
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Nei Comuni del Mezzogiorno la tendenza è di destinare maggiori risorse alle funzioni amministrative (che includono il servizio anagrafe, l’ufficio tecnico, l’ufficio tributi) invece che, ad esempio, ai servizi a supporto dell’istruzione o ai servizi sociali. Questo stato di cose salta subito agli occhi scorrendo le tabelle messe a punto dalla SoSe, la società partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (88%) e da Banca d’Italia (12%), che si occupa, tra l’altro, di studiare la realtà finanziaria degli enti locali e determinare i fabbisogni standard, ai fini di fornire indicazioni utili per una equa distribuzione delle risorse, cui devono farsi carico i decisori politici e il legislatore.
I fabbisogni standard stimano statisticamente i costi che un Comune dovrebbe sostenere, in base alle caratteristiche territoriali, agli aspetti socio-demografici della popolazione residente e alle caratteristiche strutturali dei servizi che vengono offerti. Rappresentano quindi il livello di spesa necessario ad erogare in maniera adeguata il servizio preso in considerazione (affari generali, smaltimento dei rifiuti, istruzione, servizi sociali, trasporto pubblico locale).
Analizzando le tabelle sulla funzione “affari generali”, quella appunto amministrativa, emerge che la spesa storica per abitante dei Comuni della Calabria è pari a 169,24 euro, che si confronta con una spesa per soddisfare il fabbisogno standard della stessa funzione valutata in 146,45 euro. Ciò significa che i Comuni della Calabria per fornire servizi amministrativi comunque adeguati ai propri cittadini, hanno spazi di efficientamento della “macchina burocratica”.
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Situazione analoga si rileva per la Campania dove la spesa storica per abitante dei Comuni ammonta a 142,99 euro, mentre la spesa standard risulta di 119,40 euro.
In Puglia i Comuni spendono 120,31 euro pro capite mentre la spesa standard porta a 131,26 euro. Passando alle regioni del Centro Nord, i Comuni della Lombardia spendono pro capite per la stessa funzione 127,77 euro e la spesa standard assegnerebbe loro 139,83 euro. I Comuni del Veneto hanno una spesa storica pro capite di 125,48 euro contro 142,10 euro di spesa standard, quelli dell’Emilia Romagna spendono 136,77 euro pro capite, anche in questo caso un livello inferiore di quello che prevede la spesa standard (144,68 euro).
Anche per l’istruzione pubblica, così come per i servizi sociali, la spesa dei Comuni del Mezzogiorno è nettamente inferiore rispetto a quella dei Comuni del Centro Nord. Per la funzione “istruzione pubblica” si intendono, oltre alla gestione e manutenzione degli edifici scolastici, anche i servizi complementari della didattica, come la mensa, il trasporto scolastico, il pre-post scuola, i centri estivi.
Si tratta di servizi non obbligatori che nei territori del Nord vengono generalmente forniti alla collettività, mentre al Sud c’è carenza. Le cifre sono indicative. Nei Comuni della Calabria la spesa storica per abitante è di 40 euro (contro 65,31 di spesa standard), in quelli della Campania è di 37,39 euro (sono 62,74 euro di spesa standard). Passando al Nord, i Comuni della Lombardia spendono pro capite 98,11 euro, contro 87,54 euro che vengono previsti come spesa standard. Cosa significa? Che i Comuni della Lombardia offrono più servizi, o di migliore qualità, rispetto a quelli che sono previsti dai fabbisogno standard per garantire un adeguato livello delle prestazioni. Stesso discorso per l’Emilia Romagna, dove i Comuni offrono servizi di supporto per l’istruzione pubblica spendendo 117,33 euro pro capite mentre la spesa standard prevede 88,62 euro.
In sostanza, per i servizi di istruzione pubblica, i fabbisogni standard assegnano una spesa superiore a quella storica nei Comuni di tutte le Regioni del Sud. Così come per i servizi sociali, che includono gli asili nido.
La spesa storica dei Comuni della Calabria, come detto sopra, è di 52,92 euro pro capite, contro una spesa standard di 64,36 euro. Come si vede, anche la spesa per soddisfare il fabbisogno standard resta molto bassa rispetto, ad esempio, ai 129,24 euro di spesa standard dei Comuni della Lombardia e agli oltre 167 euro degli enti dell’Emilia Romagna. Perché avviene tutto ciò? La ragione va ricercata nel fatto che molti dei servizi legati all’istruzione pubblica (come le mense o i centri estivi) e ai servizi sociali, in primis gli asili nido, non sono obbligatori e non vengono considerati nei fabbisogni standard.
Di conseguenza non rientrano nel meccanismo del fondo perequativo, che darebbe un contributo ai Comuni che non riescono ad essere autosufficienti con le tasse locali che incassano.
Gli asili nido sono valutati nel fabbisogno , e sono calcolati nella spesa, solo quando i Comuni già erogano quel servizio. Ecco il ‘vulnus’ che penalizza i Comuni meridionali, che non consente loro di partire alla pari con gli enti del Centro Nord.
La situazione potrebbe migliorare se, ai fini della perequazione, si riuscisse ad abbandonare il principio della spesa storica che di fatto condanna i Comuni del Sud a permanere nello status quo. Un aiuto importante verrebbe dalla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) anche per i servizi non obbligatori, che sono comunque determinanti per migliorare la qualità della vita delle famiglie. Se ci fosse, per legge, un livello minimo di asili nido da garantire obbligatoriamente, la spesa per offrire questo servizio verrebbe inclusa nei fabbisogni standard e quindi nell’accesso al fondo di perequazione per i Comuni più poveri.
Su questa riforma, che contribuirebbe ad assicurare servizi uniformemente adeguati su tutto il territorio nazionale, la politica è in grande ritardo. Certo, anche gli amministratori locali dovrebbero fare la loro parte, ad esempio realizzando nei bilanci comunali una vera e virtuosa spending review, con lo spostamento di parte delle risorse dalla funzione amministrativa a quelle dei servizi.