I dati sulla pressione fiscale regione per regione
4 minuti per la lettura“Tasse, tasse, tasse. A forza di tasse, il Principe Giovanni spremette il cuore e l’anima del povero popolo di Nottingham”. È l’incipit di un grande classico del cinema di animazione. Ma, a conti fatti, non solo è ancora attuale dopo tanti anni, ma calza a pennello per il Sud.
Con una sola differenza: manca il lieto fine, non c’è l’eroe, il Robin Hood di turno, che riesce a rimettere le cose a posto, a ristabilire un minimo di equità e di giustizia, a “togliere” ai ricchi per dare qualcosa ai poveri. Combattendo con astuzia e bravura contro lo “sceriffo delle tasse” che si accanisce sui meridionali, in barba ad ogni principio di progressività del nostro sistema fiscale. Indifferente perfino alla Costituzione e a quel diritto “dell’equa imposizione”, basato sul principio della capacità contributiva e della progressività.
Cioè, per dirla in maniera ancora più semplice: far pagare più tasse a chi guadagna di più. Sembrano banalità, cose di buon senso. Ma non è affatto così: perché in Italia il principio, neanche a dirlo, è capovolto.
Da noi vige la regola dello Sceriffo di Sherwood: togliere ai poveri per dare ai ricchi. Impossibile? La classica lamentela del Sud piagnone? No, tutto vero e tutto documentato fedelmente con dati ufficiali della Tesoreria e dell’Istat. Numeri che mostrano, se ce ne fosse bisogno, un’Italia divisa letteralmente in due.
Da una parte il Sud, dove il peso del fisco cresce e diventa sempre più insostenibile. Dall’altra il ricco Nord, dove (sia pure di poco) si è ridotto. Il risultato, clamoroso, è che le Regioni dove la ricchezza è più bassa, Calabria, Campania e Puglia – si legge nell’ultimo rapporto della Svimez – “sono attualmente assoggettate a una pressione fiscale pari o superiore a quella subìta dalle regioni posizionate nella parte più alta della classifica, come la Lombardia, l’Emilia Romagna e il Veneto”.
Guarda caso, proprio le tre amministrazioni che sono decise a percorrere la strada dell’autonomia rafforzata per trattenere sul territorio buona parte delle tasse incassate. Se il progetto diventerà legge dello Stato, il Sud, oltre a pagare di più, perderà anche una fetta delle risorse che arrivano dai meccanismi di redistribuzione delle imposte decisi dallo Stato Centrale. Per la gioia dello “sceriffo di Sherwood”. A Oxford direbbero “cornuti e mazziati”. Ma restiamo sui numeri e lasciamo perdere le parole. Perché le sorprese non mancano.
Nel 2007, l’anno precedente alla più grave e lunga recessione del dopoguerra, la pressione fiscale sul Pil procapite, vale a dire la ricchezza prodotta individualmente, era del 29,5% nel Sud e del 32,5% nel Centro-Nord. In particolare, nell’Italia Settentrionale, la percentuale si attestava sul 33,4%. Insomma, i più ricchi pagavano in proporzione un pochino in più rispetto alle regioni meno abbienti. Una differenza non secondaria, dal momento che al Nord il reddito è praticamente doppio rispetto al Mezzogiorno.
Nove anni dopo, nel 2016, la situazione si è paradossalmente capovolta. Al Sud la pressione fiscale è cresciuta di 2,6 punti, raggiungendo quota 32,1%. Nel Settentrione, invece, è addirittura calata di 2 punti percentuali, dal 33,4 al 31,4%. Il trend non cambia se esaminiamo il dato aggregato del Centro-Nord: 31,5%, quasi un punto in meno rispetto ai meridionali. Il risultato, sentenziano gli esperti della Svimez, “è un sistema fiscale che influisce in maniera negativa sullo sviluppo del Mezzogiorno”. L’ennesima palla al piede.
Non finisce qui. Perché nel Mezzogiorno gli “sceriffi di Sherwood” raddoppiano. C’è quello che incassa le tasse per lo Stato centrale, e abbiamo visto con quali risultati. Ma c’è anche quello che preleva a livello territoriale, attraverso il meccanismo delle cosiddette imposte locali, a cominciare dalle addizionali Irpef. Il dato clamoroso è che nel Mezzogiorno, dal 2007 ad oggi, “si riscontrano valori percentualmente più elevati di aumento delle entrate rispetto a quelli del Centro-Nord e a quelli medi nazionali”. L’aumento è stato del 30%, un salasso effettuato, tra l’altro, proprio negli anni più duri della grande recessione.
Nel 2007 ogni meridionale, in media, pagava 617,2 euro di tributi locali. Dieci anni dopo ha dovuto sborsare 800,1 euro. Un incremento cinque volte superiore a quello che, nello stesso periodo, si è registrato nel Centro-Nord. Più tasse ma anche servizi peggiori. Forse, al Sud, un eroe come Robin Hood servirebbe. Eccome.
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