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Il grafico esplicativo dello scippo subito ogni anno dal Sud a vantaggio del Nord

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La settimana appena trascorsa si è aperta con la denuncia del Quotidiano del Sud L’altravoce dell’Italia contenuta nell’inchiesta del direttore Roberto Napoletano basata sul documento shock che certifica come la Spesa del settore pubblico allargato (ossia la spesa pubblica dell’Amministrazione Centrale, degli enti locali, degli enti pubblici, delle società pubbliche e delle società pubbliche a partecipazione privata) sia evidentemente sproporzionata tra Nord e Sud con ben 61 miliardi che vengono “scippati” al Mezzogiorno da parte del Nord.

Una sproporzione che acquisice tutta la sua evidenza quando si rileva che al nord, dove risiede il 65,7% della popolazione, va il 71,7% della Spesa pubblica, mentre al Sud, dove risiede il 34,3  della popolazione, la Spesa pubblica sostenuta dallo Stato nel suo complesso è pari al 28,3%.

Un 6% di sbilanciamento che vale, per l’appunto, 61 miliardi di euro.

Una inchiesta che ha smentito completamente il luogo comune secondo cui al Nord vanno meno risorse di quelle che gli spetterebbero oltre che mettere in evidenza una precisa e macroscopica violazione del federalismo differenziato contenuto nella cosiddetta Legge Calderoli (l. 42/2009) ma soprattutto della Costituzione della Repubblica Italiana. 

Ma una volta messo in luce questo scippo nell’ambito della Spesa pubblica, ossia della leva attraverso la quale lo Stato funziona, opera sul territorio ai fini della produzione e della offerta dei servizi alla cittadinanza e agisce sull’economia e l’occupazione nazionale, occorre capire dove finisce questa immensa mole di denaro pubblico. E la risposta è presto data.

Al netto del vero e proprio poltronificio esistente nelle Regioni del Nord con in testa la Lombardia (LEGGI L’INCHIESTA SUL POLTRINIFICIO LOMBARDO), si va dalla Sanità (LEGGI L’INCHIESTA SUL BUSINESS DEI VIAGGI DELLA SPERANZA) alla scuola (LEGGI DEL PATTO SEGRETO PER DRENARE RISORSE DALL’ISTRUZIONE AL SUD), passando per l’industria del cinema italiano (LEGGI DEGLI SCARSI INVESTIMENTI SUL TERRITORIO A FRONTE DELLA SCELTA DI LOCATION DA FAVOLA AL SUD) fino ad arrivare al vero e proprio scandalo della gestione degli investimenti nelle Ferrovie dello Stato in base ai quali, nei fatti, le Ferrovie al Sud sono sostanzialmente ferme su un binario morto (LEGGI L’INCHIESTA).

Ma c’è anche un’altra faccia della medaglia, ossia la grande torta dei cofinanziamenti europei pari ad un valore complessivo (tra quota comunitaria e quota nazionale) di oltre 75 miliardi che però non si spendono (o per meglio dire lo si fa solo in parte) (LEGGI L’INCHIESTA SUI FONDI COMUNITARI NON SPESI). Una incapacità di spendere un patrimonio immenso da cui emerge la responsabilità della classe dirigente meridionale e nazionale nel non riuscire a mettere a frutto in termini di investimenti e, quindi, di sviluppo economico e occupazionale questa immensa opportunità. Sta quindi a noi, come dice il direttore Napoletano (LEGGI IL SUO EDITORIALE) dimostrare «di saper fare le cose, di avere cambiato la testa e i comportamenti, di essere finalmente in grado di fare funzionare la macchina amministrativa».

Ma sia chiaro. Anche se spendessimo bene e fino in fondo tutte le risorse europee cofinanziate, vista l’enorme entità dello scippo subito annualmente, queste somme non sarebbero sufficienti a trasferire al Sud ciò che spetta alla popolazione del Sud in base alla Costituzione della Repubblica Italiana e ai principi del federalismo differenziato. 


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