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I dati parlano di aumento dell’occupazione, ma al sud il lavoro resta sempre precario e part-time. Dati alla mano, analizziamo i numeri


Si va verso una ripresa del mercato del lavoro e a fare la differenza saranno le giuste competenze.
È quanto emerge dalle Prospettive per l’occupazione OCSE e dalla nota riferita al nostro Paese.
Nonostante il rallentamento della crescita economica in atto dalla fine del 2022, il mercato del lavoro italiano ha raggiunto livelli record di occupazione. Secondo la Nota Istat sull’andamento dell’economia italiana dello scorso novembre, il numero di occupati ha raggiunto i 23,983 milioni di unità. Pari a un tasso di occupazione del 62,1%. La disoccupazione totale, che nell’area euro è al 6,3%. Nel nostro Paese è stabile al 6,1%, con un incremento di quella giovanile al 18,3% (+0,3 punti).

Nel Mezzogiorno, tuttavia, i dati non sono del tutto positivi. Secondo il Rapporto Svimez, l’occupazione al Sud è salita del 3,1% (a fronte dell’1,3% del Centro-Nord). Ma regioni come Calabria, Campania e Sicilia registrano i tassi di occupazione più bassi (rispettivamente il 44,9%, il 45,1% e il 46,5%). Anche la qualità del lavoro rappresenta un problema a causa della precarietà diffusa: circa il 23% dei lavoratori a termine al Sud ha un contratto da più di 5 anni, rispetto all’8,4% del Centro-Nord. Il part-time involontario colpisce, inoltre, ben il 75% dei lavoratori meridionali.

Secondo il Rapporto annuale su mercato del lavoro e politiche di genere 2024 di Inapp – Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche – l’occupazione femminile ha raggiunto il 52,5% con un aumento dell’1,4% rispetto all’anno precedente. Ma il gap di genere tra i tassi di occupazione rimane mediamente al 18%. E il 64% dell’inattività in Italia continua a essere femminile e motivato per lo più da esigenze di carattere familiare. Non lavorano per motivi di cura il 34% delle donne e il 2,8% degli uomini tra i 15 e i 64 anni e il 43,7% delle donne e il 4% degli uomini tra i 25 e i 34 anni. La motivazione principale dell’inattività maschile rimane la formazione.
Nel primo semestre del 2024 sono state attivate 4.294.151 assunzioni, di cui solo il 42% a donne. Il 24,4% è avvenuta tramite incentivo, ma rimangono critici tre indicatori: il livello di stabilità (il tempo indeterminato copre il 18,3% delle assunzioni maschili e solo il 13,5% di quelle femminili); l’incidenza del part time (di tutti i contratti a donne, sono a part time quasi la metà a fronte del 27,3% degli uomini); la doppia debolezza data da part time associato a tempo determinato, che colpisce il 64,5% delle donne contro il 33% degli uomini.

Confrontando il terzo trimestre con il secondo, si è registrato un aumento del livello di occupazione (pari a +0,4%, per un totale di 84mila occupati), diffuso tra entrambi i generi, tra i dipendenti permanenti, gli autonomi e in tutte le classi d’età ad eccezione dei 35-49enni.
La crescita dell’occupazione, osservata nel confronto trimestrale, si è associata alla diminuzione delle persone in cerca di lavoro (-8,5%, pari a -147mila unità) e all’aumento degli inattivi (+1,1% pari a +138 mila unità).
Nel confronto tendenziale, nel terzo trimestre gli occupati sono stati 301mila in più (+1,3%). Con il tasso di occupazione in crescita di 0,4 punti rispetto a settembre 2023. Si conferma negativo il saldo tendenziale del numero di disoccupati, che in un anno è diminuito di 423mila unità, pari al 21,4%. Nel confronto con lo stesso periodo dell’anno precedente il tasso di disoccupazione è calato di 1,6 punti nel complesso e di 4,5 punti tra i giovani.
È aumentato sull’anno il numero di inattivi (+2,8% pari a +337mila unità) e il tasso di inattività (+0,8 punti).

Tuttavia, secondo la nota OCSE, il mercato del lavoro continuerà a crescere nei prossimi due anni: nonostante la riduzione della popolazione in età da lavoro, l’occupazione totale dovrebbe crescere nel 2025 dell’1%.
Per quanto riguarda i salari reali, in Italia sono ancora inferiori del 6,9% rispetto al periodo pre-Covid. Ma si prevede una crescita contenuta nei prossimi due anni. Secondo la Nota OCSE, “nel complesso, la crescita dei salari reali dovrebbe rimanere contenuta nei prossimi due anni. Si prevede che i salari nominali (retribuzione per dipendente) in Italia aumenteranno del 2,5% nel 2025. Sebbene questi aumenti siano significativamente inferiori a quelli della maggior parte degli altri Paesi OCSE, consentiranno comunque un recupero di parte del potere d’acquisto perduto, dato che l’inflazione è prevista al 2% nel 2025”.

A confermare la tendenza positiva generale è la Nota Istat, secondo cui l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie a settembre 2024 ha segnato un incremento dello 0,2% rispetto al mese precedente e del 3,7% rispetto a settembre 2023. L’aumento tendenziale è stato pari all’1,6% per i lavoratori della Pubblica Amministrazione, del 4,1% per i dipendenti dei servizi privati e del 4,6% per i dipendenti dell’industria. Nel terzo trimestre, per il totale economia, la crescita delle retribuzioni contrattuali risulta superiore a quella dei prezzi al consumo del 2%, proseguendo così nel graduale recupero del potere di acquisto.

Quali saranno, allora, le prospettive per il mercato del lavoro 2025 in Italia?
Secondo l’indagine ManpowerGroup sulle Previsioni sull’Occupazione in Italia, per il primo trimestre 2025 si registra un cauto ottimismo da parte delle aziende italiane. Le loro previsioni sulle assunzioni, infatti, si mantengono stabili con un +19%. Anche di fronte a un clima economico delicato, il dato non presenta variazioni rispetto al trimestre di chiusura del 2024. Per quanto riguarda i singoli settori, si confermano trainanti Energia, Utilities, Sanità e Life Sciences.
Secondo lo studio condotto da ANPAL e Unioncamere sul fabbisogno occupazionale a medio termine delle aziende, le lauree più richieste entro la fine del 2025 saranno quelle conseguite nelle aree di giurisprudenza ed economia, seguite da medicina e ingegneria. Nel dettaglio, saranno richieste:

  • 40.000 unità nel settore economico-statistico;
  • 39.000 unità nell’area giuridica e politico-sociale;
  • tra 33.500 e 35.000 unità nel settore medico-sanitario;
  • dalle 31.500 alle 34.600 unità nell’area ingegneria.

I settori del futuro sono orientati all’innovazione, alle tecnologie digitali, ma anche alla sostenibilità ambientale e all’economia aziendale.
Le professioni più redditizie saranno perciò legati all’intelligenza artificiale come AI Engineer, Machine Learning Specialist, AI Ethicist (il cui compito sarà valutare gli impatti morali, sociali e legali dell’Intelligenza Artificiale), ma anche Project manager, analista della cyber security, data scientist, infermiere, giurista d’impresa, esperti e manager della sostenibilità.

Sarà, inoltre, fondamentale sviluppare le cosiddette soft skill, quelle capacità relazionali che faranno la differenza in qualunque ambiente di lavoro. Sintetizzate in 10 punti dal World Economic Forum, rappresenteranno una chiave importante per trasformare le sfide del mondo del lavoro in opportunità:

  1. Pensiero analitico e innovazione
  2. Apprendimento attivo e strategie di apprendimento
  3. Capacità di risolvere problemi complessi
  4. Pensiero critico e capacità di analisi
  5. Creatività, originalità e spirito d’Iniziativa
  6. Leadership e influenza sociale
  7. Uso di tecnologie, monitoraggio e controllo
  8. Progettazione e programmazione tecnologica
  9. Resilienza, gestione dello stress e flessibilità
  10. Ragionamento, problem solving e ideazione.

Per affrontare l’anno appena iniziato, aziende e lavoratori saranno chiamati non solo a mettersi in gioco, ma anche a investire nel miglioramento continuo delle competenze e nello sviluppo del proprio potenziale. Un percorso in cui sarà fondamentale il supporto attivo delle istituzioni per creare un ecosistema favorevole all’innovazione, alla formazione e alla crescita professionale.


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