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Fenomeno Neet: persone inattive che non studiano, né lavorano in un determinato momento, l’Italia ultima in Europa; a rischio un miliardo di fondi Ue per contrastarlo


A rischio un miliardo di fondi Ue per il contrasto del fenomeno Neet (Not in Education, Employment or Training): il dato emerge dal rapporto “Giovani in pausa. Superare gli stereotipi per costruire politiche pubbliche efficaci” redatto da ActionAid e CGIL, all’interno del quale sono stati analizzati i dati più recenti – riferiti al 2022 – ed è stato vagliato l’utilizzo dei fondi disponibili

Per contrastare il fenomeno, l’Italia ha avuto a disposizione circa 2,7 miliardi di euro per il periodo 2014-2020 e, secondo la Ragioneria generale dello Stato, a febbraio 2024 i pagamenti certificati ammontavano a soli 1,6 miliardi pari al 62% dei fondi stanziati. Come segnala il rapporto, «è doveroso specificare che si tratta di dati che restituiscono un quadro provvisorio che, se confermato al termine della rendicontazione, richiederà all’Italia di restituire all’Unione europea circa 1 miliardo di euro, mancando l’opportunità di contrastare un fenomeno che si stima costi allo Stato italiano circa 25 miliardi l’anno, l’1,4% del Pil italiano».

Secondo Katia Scannavini, vice segretaria generale di ActionAid, «il nostro Paese ha ancora la possibilità di cambiare rotta, mettendo al centro dell’agenda politica la questione giovanile e permettendo alle nuove generazioni di esercitare i propri diritti in ambito lavorativo, economico, educativo e social» garantendo alle giovani generazioni il giusto spazio, condizioni lavorative adeguate, opportunità di scelta e stipendi dignitosi.
Per la segretaria confederale della CGIL Laura Ghiglione, «i giovani pagano il prezzo di politiche inefficaci o sbagliate e di un Governo che li ha completamente dimenticati. È necessario invertire la rotta, il lavoro deve essere stabile, dignitoso e ben retribuito».

Le politiche attuate sinora, secondo il report, non sono state sufficientemente efficaci: Garanzia Giovani, per esempio, ha contribuito a reintrodurre nel mercato del lavoro solo il 25% dei NEET. Nel corso di 10 anni, dal 2014 al 2023, il programma ha coinvolto circa l’83% dei NEET residenti in Italia, soprattutto uomini (52%) di età compresa tra 19 e 24 anni (56,2%) residenti nel Sud Italia e nelle Isole (43,4%). Di questi, il 47,6% ha completato il percorso formativo, ma solo il 32% risulta occupata/o a sei mesi dalla fine del programma.
Questa quota, inoltre, comprende prevalentemente giovani in una condizione di maggiore privilegio – 58,8% di uomini del Nord ovest e in possesso di un titolo di laurea (61%) – rispetto a coetanee/i residenti nei territori del Sud o del Centro e con bassi livelli di istruzione.

Ai 2,7 miliardi di euro di fondi Ue per il fenomeno Neet nel periodo 2014-2020, ricorda infine il rapporto, si sommano 4,4 miliardi di euro a valere sul programma Garanzia di occupabilità dei lavoratori per il quadriennio 2022-2025 e circa 2,8 miliardi di euro stanziati con il Piano nazionale Giovani, donne e lavoro dal 2021 al 2027. Le progettazioni finanziate sino all’anno 2023, come dimostra il report, non hanno dato i risultati sperati e ad aggravarsi sono le condizioni di chi vive al Sud e delle giovani donne.

In Italia sono circa 1,7 milioni i giovani “in pausa” tra 15 e 29 anni che non studiano, non lavorano e non seguono un percorso formativo da oltre 6 mesi. Il tasso di incidenza è pari al 19% ed è sceso del 4% rispetto al 2021 e del 5% rispetto al 2020. Sebbene nell’ultimo decennio si stia registrando una decrescita del fenomeno, l’Italia è comunque il secondo Paese nell’UE con il tasso più alto di Neet, lontano dalla media europea dell’11,7% e preceduto solo dalla Romani (19,8%).

Ampliando la fascia di età e portandola nel range 15-34 anni, l’incidenza dei NEET raggiunge il 20,8%. Questo perché sono proprio i giovani e le giovani tra 30 e 34 anni a rappresentare la quota maggiore di persone che non studiano e non lavorano, seguiti dalla fascia 25-29 anni (29,4%), 20-24 anni (27,8%) e 15-19 (9,2%). Sono prevalentemente donne (57,8%), con cittadinanza italiana (84%), residenti in gran parte dei territori del Sud (52%) e in possesso di un titolo di studi di scuola secondaria superiore (44%).
La quota di donne NEET è sempre rimasta molto alta rispetto a quella degli uomini, con un incremento dell’1,9% nell’ultimo anno: i dati confermano sia la maggiore difficoltà a uscire da questa condizione che il bisogno di maggiori interventi da parte delle istituzioni. La percentuale di donne è più alta anche tra le persone NEET inattive ed è pari al 65%: tra queste, il 46% afferma di voler lavorare, anche se non sta cercando un’occupazione, mentre tra le restanti che dichiarano di non essere in cerca il 51% indica come motivazione il lavoro di cura o questioni familiari. Definirle “indisponibili” a lavorare in questo caso è errato poiché dipende dal lavoro non retribuito che esse svolgono che diviene un ostacolo all’accesso a opportunità formative o occupazionali.

È al Sud che si registra la percentuale più alta di NEET, sia in termini di distribuzione che di incidenza.
La Sicilia ha il tasso di incidenza più alto (36,4%), seguita da Campania (33,4%) e Calabria (32%). Se si considera, invece, la distribuzione delle e dei NEET a livello territoriale, al terzo posto, dopo Sicilia (18,5%) e Campania (15,9%), si trova la Lombardia (8,1%). Le percentuali variano se si prende in considerazione anche il livello di istruzione: prevale infatti la quota di NEET con diploma di maturità (44%) mentre è minore la percentuale delle e dei giovani in possesso di una laurea (13%). Le probabilità di entrare nella condizione di NEET, infatti, si abbassano all’aumentare del titolo di studio. Un dato che non vale per le donne che, rispetto ai coetanei maschi, hanno in media livelli di istruzione più elevati.

È necessario, oggi più che mai, che queste persone diventino la vera priorità del Paese e siano messe al primo posto dell’agenda politica.


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