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Numerose le associazioni del Terzo settore al Sud ma queste devono restare un valore aggiunto ai compiti delle istituzioni e non una sostituzione


Riuscire a mettersi insieme è un’operazione che dovrebbe potenziare le forze in campo di una realtà. E nell’immaginario collettivo meridionale la forza del gruppo ha avuto un grande ruolo. Tanto da essere accusati di una forma di familismo che spesso era ritenuto contiguo a forme criminali.
Ovviamente spesso si tratta di luoghi comuni che riguardano una società che trova nel gruppo una forza difensiva rispetto a realtà complicate.

Ma vi è anche un modo di stare insieme che non protegge la famiglia, ma gruppi più ampi che riguardano la società. Nel Mezzogiorno, dove molti diritti di cittadinanza spesso sono più assenti, trovare che vi siano numerose forme associative che si occupano del bene comune, fornendo un aiuto ad un sistema pubblico spesso in affanno, può essere una buona notizia. A patto che non diventi un alibi per le Istituzioni per non fare tutta la loro parte.
Bisogna aver chiaro che quello che fanno le realtà associative private deve costituire una forma aggiuntiva rispetto ai ruoli istituzionali. Se invece la loro attività diventa sostitutiva evidentemente esiste un grosso problema che va risolto.

Forse le forme di associazionismo sono più indispensabili per superare le dimensioni di micro impresa esistenti nella realtà meridionale. Quelle forme di cooperative sociali molto presenti anche nel settore creditizio, ma estremamente necessarie in agricoltura, potrebbero essere una soluzione a tante micro produzioni, per esempio nel settore del vino, dell’olio o caseario, che non riescono a presentarsi nei mercati nazionali ed internazionali per una mancanza di quantità che porta a una incapacità di penetrazione.
In tal caso svolgono un ruolo che non è sostitutivo di quello che dovrebbe fare il pubblico come nel caso dei servizi alle persone, agli anziani, ai bambini, supporto per il tempo di libero o per il recupero di situazioni complicate e possono essere considerate un grande valore aggiunto per sostituire a un individualismo esasperato, tipico delle realtà povere, il valore del gruppo.

Ma la richiesta che alcuni compiti debbano essere svolti dall’Istituzione pubblica soprattutto nel settore formativo non deve assolutamente venir meno. Il tempo pieno, la lotta alla dispersione scolastica, la possibilità della mensa scolastica sono le priorità che bisogna sempre aver presente perché da tale servizio pubblico dipende la possibilità di creare buoni cittadini, che possano fare le necessarie scelte consapevoli di una buona classe dirigente.
L’analisi dei dati della numerosità di tali associazioni deve essere fatta con molta attenzione, perché spesso esse nascondono la mancanza di opportunità lavorative vere, che vengono sostituite con attività che danno la sensazione di una occupazione. Il dato che “tra associazioni di volontariato, cooperative sociali, fondazioni e Onlus troviamo 15 mila enti in Sicilia, 13 mila in Campania, 10 mila in Puglia” ci deve far riflettere. L’enorme quantità, per esempio, in Sicilia che supera anche la Campania, dà la certezza che un’analisi approfondita potrebbe evidenziare elementi non sempre positivi.

Bisogna considerare, anche in termini occupazionali, queste attività come assolutamente aggiuntive rispetto a quel manifatturiero importante che il motore di qualunque vera soluzione per realtà a sviluppò ritardato. Non dimenticare mai che le esigenze occupazionali che riguardano il Sud sono nelle dimensioni dei milioni di posti di lavoro, in realtà non meno di tre, per raggiungere quel rapporto occupato popolazione della realtà a sviluppo compiuto. Confrontarsi con tali numeri ci porta a capire le esigenze da un lato e le risposte necessarie dall’altro.


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