Un rider
5 minuti per la letturaHustle economy, economia del trambusto: l’anticamera dello sfruttamento. Un fenomeno che in Italia prende sempre più piede in mancanza di occasioni di lavoro che rispettino le competenze e gli studi dei giovani
Corri da una parte all’altra della città, fai più lavori per sbarcare il lunario. Hai sempre lo smartphone in mano, anche le tue relazioni personali transitano per i social, persino parte della tua formazione professionale passa per le piattaforme digitali. Forse non lo sai ma fai parte della “hustle economy”, che coinvolge in particolare i giovani ma, in generale, chi ha rinunciato o posticipato l’aspirazione a un lavoro dipendente vecchia maniera, con la certezza dello stipendio a fine mese e i contributi per goderti un giorno l’agognata pensione.
Stavolta la letteralità della traduzione ci conduce al cuore del problema a molte facce che ci pone la nuova economia globale. Hustle in inglese significa sia attività frenetica che imbroglio o truffa. E in effetti la Hustle economy, “economia del trambusto”, è un approccio al lavoro volatile. Si presenta sotto forma di un’autonomia che rende il singolo lavoratore imprenditore di se stesso, ma lo fa a un prezzo di mercato così basso da porsi al limite della sopravvivenza, un inganno quindi. Descrive una modalità di lavoro caratterizzata da più attività lavorative, temporanee o part-time, che le persone intraprendono sia per pagare affitto e bollette che semplicemente per arrotondare. L’innovazione tecnologica, il cambiamento delle dinamiche del mercato del lavoro e una crescente cultura dell’imprenditorialità individuale sono il fulcro intorno a cui ruota il capitalismo contemporaneo.
Facciamo alcuni esempi per calare nel mondo reale, spesso lontano dai perfetti grafici degli economisti, la “hustle economy”. In Italia sta guadagnando sempre più terreno, in mancanza di occasioni di lavoro che rispettino le competenze e gli studi dei giovani. Il lavoro freelance diventa essenziale per affrontare l’instabilità economica. Alcuni esempi noti sono le piattaforme come Deliveroo, Glovo, JustEat e altre major del fast-food. Sì, proprio quelli che ti portano la cena a casa. Ecco, in questi casi è difficile vedere l’hustle economy come una forma di auto imprenditorialità, con paghe intorno ai 5 euro l’ora o a consegna.
Turni pesanti, competizione con altri rider, tempi stringenti per le consegne, per non farsi escludere al prossimo giro dall’algoritmo che decide a chi tocca il prossimo recapito. Inizialmente le multinazionali che gestiscono questo settore chiedevano ai lavoratori la partita Iva. Dopo molte cause legali, in Italia e nel mondo, sono state però costrette ad assumere come dipendenti i lavoratori. Appartengono a questa categoria anche i protagonisti della nuova logistica, i proprietari di piccoli camion che effettuano a ritmi serrati le consegne per i giganti degli acquisti online come Amazon, considerati lavoratori autonomi.
Attenzione però: sono molti i ragazzi e le ragazze che dedicano solo un numero di ore limitato alle consegne per piccoli negozi di quartiere o turni limitati per pub, bar e ristoranti, senza nessun tipo di contratto. In questi casi il lavoro è un’attività secondaria, per essere autonomi restando in famiglia, in attesa di occasioni migliori. I lavoratori di queste attività non vedono il lavoro senza contributi e assicurazioni sanitarie come sfruttamento. Il lavoro nero viene visto come occasione, spesso con riconoscenza verso il datore di lavoro.
Possiamo considerare il lavoro nero come parte della hustle economy? Alcuni imprenditori di stabilimenti balneari e della ristorazione, quelli che pagano meno di mille euro al mese chi lavora per dieci ore al giorno sei giorni a settimana, due anni fa polemizzarono fortemente contro il Reddito di Cittadinanza, che assegnava un contributo pari alla loro offerta economica. Problema risolto, il RdC non c’è più, il lavoro nero resta. Anche perché aumentano le possibilità, è, purtroppo, molto più facile trovare lavoro accettando la mancanza di reti di protezione che essere assunti in regola. E questo rende meno amaro per i giovani accettare paghe basse. Senza dimenticare che per alcune figure sociali marginalizzate, come gli immigrati, il lavoro nero è l’unica possibilità di sopravvivenza.
C’è però un altro aspetto della hustle economy, che effettivamente consente una gestione autonoma del proprio tempo e una piccola imprenditorialità. Negli Usa la piattaforma TaskRabbit mette in contatto la manodopera freelance con la domanda di piccole riparazioni, dall’idraulico al carpentiere. In Italia Superprof è una piattaforma che fa incontrare studenti in cerca di ripetizioni con insegnati privati. Uber, ormai diffusa anche in Italia, classifica i suoi autisti come lavoratori autonomi, per portare persone o effettuare consegne.
Ci sono poi attività di commercio digitale, come Ebay e Vinted, che trattano anche l’usato, che si possono gestire completamente in proprio. Si acquistano a prezzi convenienti delle merci, dallo spillo al transatlantico si sarebbe detto una volta, e si offrono in vendita a un prezzo competitivo rispetto ai negozi fisici e anche ad altri online. Non c’è bisogno di un grande magazzino dove accatastare gli oggetti, perché il venditore a sua volta effettua gli acquisti in base alle richieste che vengono subito evase.
Abbiamo visto quindi come queste opportunità, garantendo la sopravvivenza o una paga extra, abbattono i costi del lavoro dipendente e lo trasformano in auto imprenditorialità, portando a situazioni di vulnerabilità economica e assenza di tutele. Il beneficio del guadagno immediato per i giovani, i soggetti principali della hustle economy, oscura però l’idea stessa di futuro, quello previdenziale innanzitutto. Incertezza e precarietà sono accettate in pianta stabile come motore economico della società contemporanea. Il futuro è oggi perché solo tu sei il tuo futuro e non devi cercarlo negli altri, sembra dirci l’hustle economy.
La hustle economy è una cultura del lavoro intenso, del multitasking e dell’intraprendenza. La forza lavoro “indipendente” degli Stati Uniti è aumentata del 34% dal 2020, ci dice un sondaggio di MBO Partners. Sempre più giovani sono convinti che lavorare in modo precario sia un passo necessario per raggiungere il successo imprenditoriale. Gary Vaynerchuk, imprenditore digitale multimilionario, è uno dei guru di questa filosofia, che si rivolge in particolare alla generazione Z, i trentenni di oggi, nati dopo l’avvento di Internet. “Hustle, la cura per chi non si lamenta” è il suo manifesto culturale. “Le persone – scrive – pensano di lavorare sodo, ma tornano a casa alle 18. Non è abbastanza, devi impegnarti e continuare a impegnarti”. Magari ha ragione lui. Oppure aveva ragione Leo Longanesi quando affermava che una società fondata sul lavoro non sogna che il riposo. Decidete voi.
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