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Istat - anni 2013-2022

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L’attuale questione meridionale è quella di talenti e capitale umano. Pesa il costo-opportunità, la mancata generazione di valore per il territorio da parte delle menti in partenza


Nell’epoca dell’economia della conoscenza quella che la storia dell’Italia unita ci ha abituati a chiamare “questione meridionale” non riguarda più solo elementi economici e infrastrutturali, ma è anche e soprattutto una questione di risorse umane e di talento. Sempre più oggi, sperimentiamo come le frontiere dell’innovazione siano legate al sapere, nella sua sintesi di teoria e tecniche. Dalla capacità di attrarre cervelli sempre più dipende anche la capacità di attrarre investimenti. E va riconosciuto che l’eccellenza industriale del Nord Italia, celebrata come motore dell’economia nazionale, si basa in parte consistente sull’emigrazione di giovani talenti dal Sud.

LA QUESTIONE MERIDIONALE NON E’ LONTANA DALLA “FUGA DEI CERVELLI”

Questo fenomeno, che appare come una semplice migrazione interna, minaccia il perpetuarsi degli squilibri ben noti, se non affrontato con efficacia. La questione non è lontana dal fenomeno della “fuga dei cervelli”, una dinamica di brain drain tutta interna al Paese. Basti pensare che il costo medio per le casse pubbliche per formare un giovane laureato in Italia è stimato intorno ai 164mila euro. Per i dottorati di ricerca l’investimento supera i 228mila euro, secondo i dati Ocse. Il saldo degli espatri arriva a costare al Paese circa 4,5 miliardi di euro all’anno solo in termini di investimenti formativi persi, senza contare i costi-opportunità legati alla mancata innovazione e sviluppo economico che queste menti avrebbero potuto generare. Mentre il Nord Italia, con città come Milano e Bologna, continua ad attrarre giovani talenti, le regioni meridionali finiscono per depauperarsi di quelle competenze e professionalità.

In Campania meno 46mila giovani laureati

Questo flusso migratorio interno al Paese ha visto la sola Campania, ad esempio, perdere ben 46mila giovani laureati in un decennio: valore corrispondente ad un investimento formativo di circa 7,5 miliardi di euro.
Ma a pesare davvero è il costo-opportunità, la mancata generazione di valore per il territorio da parte delle giovani menti in partenza. Non solo. Nelle grandi città universitarie del Nord del Paese, il mercato degli affitti si mantiene alto anche grazie ai canoni di locazione pagati da famiglie meridionali a beneficio dei figli, studenti fuori sede che coprono circa la metà degli iscritti totali degli Atenei di una regione come l’Emilia-Romagna. Le regioni del Nord conoscono l’importanza di questa leva e in tempi in cui le competenze umane divengono centrali per lo sviluppo si dotano di leggi per attrarre i talenti. Il Friuli-Venezia Giulia per prima, poi l’Emilia-Romagna e la Lombardia si sono dotate di leggi per attrarre e trattenere giovani formati e qualificati, favorendone il radicamento sul territorio.

QUESTIONE MERIDIONALE E ASSENZA DI CAPITALE UMANO: SQUILIBRIO DELLE COMPETENZE IN TUTTO IL PAESE

Il problema delle professionalità qualificate è crescente in tutto il Paese. Vi è un grave squilibrio quanto alle competenze STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), sempre più richieste dal mercato del lavoro. Solo il 25% dei laureati italiani si specializza in queste discipline, rispetto al 38% della Germania. La carenza è aggravata dalla scarsa diffusione della formazione tecnica superiore, con gli Istituti Tecnici Superiori (ITS) che contribuiscono solo per poco più dell’1% alla formazione terziaria in Italia, rispetto al 40% della Germania. La crisi demografica amplifica ulteriormente il problema. Negli ultimi dieci anni, la popolazione in età lavorativa è diminuita di 773.000 persone.

A questo si aggiunge un basso tasso di occupazione femminile e giovanile, e un alto tasso di inattività, specialmente al Sud. Nel 2024, il tasso di occupazione in Italia ha raggiunto il 62,3%, un record – già oggi in flessione -, ma decisamente ancora lontano dal 70,4% della media europea. Tutto questo rende aspra la competizione tra territori, mentre servirebbe a livello nazionale un patto per le competenze e un patto per l’attrattività dei talenti, che non si può costruire se non a partire da una politica industriale comune. E non appaiono sufficienti gli incentivi al rimpatrio, tra l’altro oggi meno generosi. Per rendersene conto, è sufficiente sapere che al numero di un milione e 81mila italiani espatriati nel decennio tra il 2014 e il 2023 corrisponde meno della metà dei rimpatri (515mila) nel medesimo periodo di tempo.

QUESTIONE MERIDIONALE, LE DIFFICOLTA’ DEL SUD SENZA TALENTI E CAPITALE UMANO

È evidente che il Sud Italia non potrà mai rilanciarsi senza una presenza forte di competenze qualificate. La carenza di capitale umano non solo pregiudica lo sviluppo delle filiere più innovative (si pensi al biomedicale in Calabria, all’ICT in Sicilia, all’aerospaziale in Puglia, per citare alcuni poli), ma limita anche la capacità amministrativa pubblica e l’iniziativa d’impresa. La questione del talento deve quindi essere affrontata non solo come una sfida economica, ma come una sfida sociale e politica di primaria importanza.
Al contempo l’emorragia di competenze riguarda anche le regioni più industrializzate, che subiscono flussi in uscita verso le aree nord-europee e verso gli States, senza alcuno scambio. Siamo a favore della circolazione dei talenti, ma oggi per ogni giovane cittadino europeo che sceglie di stabilirsi in Italia ci sono ben 17 giovani italiani che espatriano, come attesta un’indagine realizzata da TIUK. Il rapporto tra flussi in ingresso e flussi in uscita appare impietoso.

Si tratta di dati che mettono in luce l’urgenza di una politica industriale del talento, una strategia nazionale che affronti la questione delle risorse umane qualificate come tema politico. Miope sarebbe continuare ad accettare come una soluzione il semplice deflusso da Nord verso Sud, senza accorgersi che la competizione per le professionalità qualificate si realizza su scala globale. In alternativa, rimarremo soggetti alla concorrenza – ben organizzata e incentivata – di mercati del lavoro esteri, con retribuzioni più elevate, maggiore visibilità di carriera e spesso sistemi di welfare integrato più rispondenti alle aspettative.

LA DIMENSIONE EUROPEA

La questione ha anche una dimensione europea. Il libero mercato, pensato da Delors e istituito con il Trattato di Maastricht, ha tra i suoi capisaldi la libertà di circolazione delle persone, libertà che si è realizzata generando quello che gli economisti chiamano “effetto San Matteo”: l’accentrarsi di risorse nelle mani di chi ne è già ben fornito e il prosciugarsi di risorse a danno di chi già ne difetta.
In altre parole, i flussi di migrazioni lavorative qualificate hanno percorso tragitti da est verso ovest e da sud verso nord, senza alcuna forma di scambio. I giovani italiani si sono spostati nei Paesi Bassi, in Germania, a Londra, ma i giovani danesi, belgi, tedeschi e inglesi non sono venuti in Italia, se non come turisti o per brevi esperienze di studio e lavoro, sufficienti a preferire percorsi professionali in altri contesti nazionali. Al contempo, i giovani est europei sono approdati in Germania, in Francia (dove divenne celebre la fobia, immotivata e pertinace, dell’idraulico polacco) e anche in Italia.

NECESSARIA UNA STRATEGIA A LUNGO TERMINE

Al netto di qualche rimessa verso le famiglie rimaste nei territori d’origine, questo trend ha impoverito di risorse umane i Paesi meno sviluppati economicamente, drenando competenze e capitale umano, e ha contribuito al consolidamento delle economie più forti, che di quei profili professionali, più o meno qualificati, hanno potuto avvalersi per crescere. Dall’Italia a spostarsi verso nord sono stati in particolar modo lavoratrici e lavoratori ben preparati nelle Università dello Stivale, in cerca di occasioni per vedere valorizzato il proprio talento. Stando così le cose, è fondamentale creare un ecosistema che valorizzi le competenze e offra opportunità reali di crescita professionale.
Ciò richiede un impegno congiunto di istituzioni, imprese e parti sociali per sviluppare una strategia a lungo termine che affronti le cause profonde dell’emigrazione dei talenti e favorisca la crescita di un tessuto economico e sociale capace di attrarre e trattenere le migliori menti. La questione delle risorse umane e del talento rappresenta una delle sfide più urgenti per il futuro del Paese. Senza una politica industriale del talento, il Sud continuerà a soffrire e l’intero Paese ne pagherà le conseguenze. È tempo di immaginare una strategia condivisa – che non si limiti a soli incentivi per gli impatriati – per invertire questa tendenza e costruire un domani che metta al centro la conoscenza.

*Presidente UCID


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