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Cibo e agroalimentare: il nostro Paese ha osteggiato alcune politiche di Bruxelles che nella precedente Commissione avevano tentato di mettere nell’angolo l’agricoltura


Il cibo è salute, economia e cultura, ma anche libertà ed arma di guerra. Ci sono mille modi di declinare un patrimonio di cui solo da pochi anni si è compreso il vero valore. Sono servite una pandemia e due guerre per capire che il cibo alimenta anche la pace sociale e le democrazie. E quanto fosse strategico è emerso con drammaticità nell’uso che Putin ha fatto di grano e altre derrate alimentari nella guerra con l’Ucraina: una vera e propria arma al pari dei missili e dei droni. Lo ha sottolineato qualche giorno fa il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo intervento agli 80 anni della Coldiretti. Affermando che “La Repubblica sa che è a partire da elementi essenziali come l’acqua e il cibo che si costruisce la pace tra i popoli.
L’invasione russa in Ucraina, la gravissima crisi medio-orientale, stanno ponendo a dura prova la possibilità di sopravvivenza di intere popolazioni, con un uso spregiudicato della risorsa alimentare come arma”. “Non c’è futuro possibile senza sicurezza alimentare” ha ribadito il Capo dello Stato nell’incontro con il direttore generale della Fao, Qu Dongyu.

Il cibo è davvero un bene da maneggiare con cura. Per l’Italia poi che garantisce le migliori produzioni alimentari del mondo è davvero un imperativo categorico. Ma l’impresa non è facile. Perché su un prodotto tanto sensibile si scatenano appetiti di tutti i generi. Dall’accaparramento delle terre che ha guidato la colonizzazione per esempio delle aree rurali africane da parte di Cina e Russia, alle “prove” di sostituzione del cibo buono con quello falso. Ma anche il tentativo di emarginare aree dove si realizzano alimenti sani e sostenibili per aumentare la produzione dove c’è un uso intensivo delle risorse e dove è permesso un largo uso di prodotti chimici pericolosi.

Il nostro Paese, per la sua storia e per l’immagine che ha conquistato del mondo, ha un ruolo guida nella tutela delle migliori tradizioni alimentari. È un dato acquisito che una sana e corretta alimentazione, e la nostra Dieta Mediterranea è il top, salva la salute dei cittadini. E non solo. L’accezione è più ampia. L’uomo è ciò che mangia, diceva Ludwig Feuerbach. E considerando che il cervello è strettamente connesso con il secondo, e cioè l’apparato digerente, è evidente quali guasti possano derivare da una cattiva alimentazione.

Partiamo dalla salute. Proprio qualche giorno, fa in occasione del World Obesity Day, la Coldiretti sulla base si uno studio della Fondazione Aletheia ha affermato che il cibo spazzatura è la principale causa dell’obesità. Ma l’Italia ha una carta jolly da giocare, la Dieta Mediterranea, giudicata la migliore al mondo sulla base del best diets ranking elaborato da News&World’s Report’s (Usa). Mangiare bene per stare bene e con una ricaduta importante anche sui conti pubblici. In un periodo in cui la sanità è sotto stress, alleggerirla grazie a una corretta dieta è quasi un obbligo. L’Italia è agli ultimi posti al mondo per sovrappeso, ma il fenomeno è però in crescita negli ultimi venti anni.

Secondo il rapporto “Malattie, Cibo e Salute”, realizzato da Aletheia, il sovrappeso rappresenta il 9% della spesa sanitaria nazionale. Insomma l’eccesso di grasso, sempre secondo i numeri di Aletheia, comporterebbe una tassa per ogni italiano di 289 euro l’anno. Riducendo del 20% le calorie degli alimenti ad alto contenuto di zucchero, sale e grassi saturi si potrebbero ridurre le malattie croniche con un risparmio che in 25 anni potrebbe toccare quota 7 miliardi.

L’obiettivo di divulgare un modo corretto di mangiare si può raggiungere partendo dalla scuola, perché i bambini sono la più efficace cinghia di trasmissione della buona tavola. È lì che si può insegnare a consumare prodotti di stagione, certificati ed evitare anche gli sprechi. Perché un recente report dell’Istat ha certificato che da un lato la spesa alimentare diventa sempre più cara, dall’altro si impennano gli sprechi. Sono tutti figli di una stessa incultura. È vero che gli ultimi anni sono stati segnati da un caro-prezzi che ha penalizzato in primis la spesa alimentare, ma è anche vero che in Italia ancora non si è pienamente compreso il valore del cibo.

A volte si grida allo scandalo per qualche centesimo in più dei listini della pasta o della frutta, poi però si rincorre l’ultimo modello di smartphone. Anche su questo fronte si dovrebbe lavorare. Far capire che è meglio spendere qualcosa in più per garantirsi un pasto sano magari tagliando qualche acquisto inutile. E riconoscendo il giusto valore del cibo si aiutano gli agricoltori, la tenuta dei territori, la società. Mettendo anche fine a quelle forme di sfruttamento che nascono dalla sostituzione di aziende sane, stroncate da pratiche sleali, con altre che invece sono proiettate al massimo guadagno a scapito del rispetto della dignità del lavoro e della salute dei cittadini.

Sono temi complessi che dovrebbero essere centrali in una società avanzata come quella italiana. Per troppi anni la produzione alimentare è stata considerata residuale, settore “maturo” da affidare ad altre nazioni. L’Europa insomma non si sarebbe dovuta più sporcare le mani nei campi, ma dedicarsi a settori industriali avanzati. La pandemia ha messo i popoli di fronte a gravissimi problemi di approvvigionamento alimentare. E se non ci fosse stata un’agricoltura ancora forte in Italia e nell’Unione europea, sarebbero stati inevitabili gli assalti ai supermercati che si sono verificati in altri Paesi.

L’emergenza Covid è stata uno spartiacque che ha riacceso gli interessi sul cibo. Poi le guerre stanno facendo il resto. Si muore per combattere, si muore per mancanza di alimenti. In Ucraina come a Gaza. Così come è la fame che spinge i flussi migratori. L’Italia ha la fortuna di disporre di un grande patrimonio. È per questo che ha osteggiato alcune politiche di Bruxelles che nella precedente Commissione avevano tentato di mettere nell’angolo l’agricoltura in nome di un green che invece oggi è ben chiaro che non ci potrà mai essere senza coltivazioni e allevamenti. Così come il nostro Paese ha ingaggiato una battaglia contro i cibi in provetta o ultra processati.
La Coldiretti ha portato la bandiera del no ai prodotti alimentari finti. E il Governo con una legge ha bandito queste proposte alimentari dalle nostre tavole. Ma il piatto è ghiotto e i rischi di derive sono ancora molti.


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