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Scuola: lo sguardo d’insieme sulla spesa del Pnrr per l’Istruzione ci dice che il nostro Paese è in ritardo. L’obiettivo 70mila assunzioni spostato al 2026
Ci sono punte d’eccellenza che lasciano ben sperare. Come i nuovi laboratori di informatica del Pitagora di Rende, in provincia di Cosenza. O le aule attrezzate per l’editing e il podcasting del Giordanidi Caserta. O ancora i “Fab Lab”del Guido Carli di Casal di Principe dedicati alla formazione per le professioni del domani.
Tutti progetti finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ma, c’è un ma. Se si allontana l’obiettivo da queste buone pratiche per cogliere uno sguardo d’insieme sulla spesa del Pnrr per l’Istruzione, dagli asili nido all’università, l’entusiasmo cala. La posta in gioco è altissima e l’orizzonte temporale per la spesa del Pnrr sempre più vicino. Anche dopo la revisione negoziata dal governo Meloni con la Commissione europea a fine 2023, il Pnrr continua a riservare all’istruzione una grande abbondanza di risorse: ben 20,09 miliardi, rispetto ai 20,24 del Pnrr originario. Una dote sostanziosa che, nelle stime del Mef, dotrebbe tradursi in 1,3 punti di Pil sulla crescita eonomica 2021-26, da spendere, quindi, nel giro dei prossimi due anni.
Un accurato studio di Fondazione Agnelli e Fondazione Astrid sullo stato di avanzamento realizzativo e finanziario di tutte le misure del Pnrr Istruzione, ci dice, però, che il Paese è in ritardo. Al 31 dicembre 2023 speso solo il 16,8% delle risorse assegnate (pari a 3,3 miliardi), una percentuale più bassa di quella del Pnrr nel suo insieme (22%). Con alcune voci che viaggiano più lentamente di altre: se il digitale con Scuola 4.0 sfiora il 40% della spesa, l’Intervento straordinario per la riduzione del divario Nord-Sud si profila fra le linee di investimento con la più bassa percentuale di spesa: un magro 3,5% del finanziamento Pnrr di 1,5 miliardi, quello che dovrebbe giocare un ruolo importante nel contrasto alla dispersione e alla riduzione dei divari di apprendimento.
In altre parole, proprio quello che penalizza le regioni del Sud. Peggio degli investimenti destinati a colmare i divari territoriali, sole le scuole post-diploma Its Academy, ferme al 2,4%.
Per quanto riguarda l’edilizia scolastica, tema centrale nel Pnrr Istruzione, il report delle due Fondazioni si sofferma, in particolare, sul piano per gli asili nido e la scuola dell’infanzia, che ha avuto un percorso accidentato. E ha subito anche una drastica cura dimagrante; si è passati da 264 mila a 150 mila posti, e da 4,6 a 3,2 miliardi, a cui il ministero dell’Istruzione di recente ha aggiunto 734 milioni per accogliere 27.558 bambini in più e raggiungere l’obiettivo Pnrr. Segnale positivo dal numero di progetti aggiudicati: 2.437 e per il 93% sono iniziati i lavori. Ma, anche qui c’è un ma.
Mancano i dati sulle risorse assegnate e sulla spesa sostenuta per ogni progetto – si legge nello studio – né se ne conosce la distribuzione territoriale.
Non va molto meglio sul fronte delle riforme. In particolare quella che riguarda la formazione, il reclutamento e la carriera dei docenti delle scuole secondarie, chiamata a rivoluzionare un sistema fallimentare che conta sempre più cattedre scoperte, da un lato, e un numero crescente di docenti precari, dall’altro. La Legge 79 del Governo Draghi – continua il rapporto – positivamente stabiliva una chiara distinzione fra abilitazione e assunzione. Inoltre, prevedeva finalmente una formazione iniziale focalizzata sulla didattica, teorica e pratica con il corso annuale di 60 Cfu e i tirocini in classe.
Il cambio di governo, la resistenza sia dei sindacati della scuola sia delle università e, infine, la difficoltà di raggiungere il target fissato dal Pnrr di 70mila docenti da assumere entro il 2024 hanno portato allo svuotamento della legge: agli atenei concessa eccessiva discrezionalità nella definizione dei corsi, impedendo una formazione iniziale uniforme in tutto il Paese. La centralità della formazione didattica – incalza il report – è stata attenuata; si sono trovate nuove “scorciatoie” per le assunzioni che favoriscono alcune categorie di precari, a danno dei neolaureati. In più, le tempistiche di attuazione date agli atenei sono irrealistiche e con modalità che favoriscono le università telematiche.
Lo stesso obiettivo delle 70mila assunzioni è stato rimodulato e spostato al 2026. Resta, inoltre, il rischio che queste non avvengano più secondo i criteri della riforma originaria. Il prevedibile esito – conclude lapidario il report – è l’ennesima occasione perduta per il miglioramento della scuola italiana.
“Il Pnrr aveva suscitato grandi aspettative nel mondo dell’istruzione – è la sintesi di Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli e autore del report, insieme con Alberto Zanardi, docente di Scienza delle finanze all’Università di Bologna e nel Comitato Scientifico di Astrid – sia per gli ingenti investimenti previsti, sia per le riforme, come la formazione e l’assunzione dei docenti. Da qualche tempo, sullo stato di attuazione del piano è, però, calato il silenzio. L’obiettivo di Astrid e Fondazione Agnelli è tornare a parlarne, facendo un bilancio dei progressi compiuti negli investimenti fin qui e segnalando i rischi di ritardi o di realizzazioni inadeguate di qui al 2026”.
Insomma, le due Fondazioni, al di là del lavoro svolto in proprio, chiedono maggiore trasparenza ai decisori politici, con un quadro completo dei dati, un’informazione tempestiva sulla spesa via via sostenuta e quindi un cronoprogramma certo.
Questa trasparenza oggi non c’è – si legge nello studio – La rimodulazione ha modificato le tempistiche delle misure di investimento e in alcuni casi rivisto al ribasso le cifre. Di qui, una serie di interrogativi: come si pensa di raggiungere gli obiettivi nei tempi previsti e con la qualità adeguata, ad esempio, nel caso delle nuove scuole e degli studentati? Come verranno finanziati gli investimenti compensativi annunciati dal Governo: fondo complementare, fondo di coesione, leggi di bilancio? E ancora, come aiutare le scuole a spendere bene le risorse Pnrr da oggi al 2026? Non bisogna sottovalutare, infatti, che gli istituti lamentano spesso i tempi strettissimi loro imposti dal Mim e le difficoltà nel gestire progetti complessi e risorse così importanti.
Se non adeguatamente affiancati, possano cadere nuovamente in fallo come accaduto ad esempio per Scuola 4.0, quando “sono stati costretti a comprare prevalentemente device, non sempre necessari”, rimarcano gli autori del report. Domande impegnative, che aspettano risposta.
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