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Il palazzo del Viminale

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Il settore della sicurezza presenta differenze tra Nord e Sud, che evidenziano disparità strutturali e operative ma non basta punire i reati. Prioritaria la voce immigrazione


Tra i significati contrari di “paura”, troviamo sul dizionario la parola sicurezza. Paura e sicurezza sono vocaboli strettamente abbinati. Al punto da essere diventati la chiave identitaria della politica attuale in tutti i paesi cosiddetti sviluppati, dove una crescente parte di denaro pubblico è spesa in sicurezza.

Acuire il senso di paura nella popolazione è ormai patrimonio di tutte le forze politiche del mondo. Gli Stati Uniti spendono ogni anno, rispetto al totale del Pil, lo 0,66% del loro bilancio soltanto per la sicurezza interna, esclusa quindi la Difesa e le missioni militari. Per avere un metro di paragone, la spesa per le Politiche per l’abitazione e lo sviluppo urbano è dello 0,49%. Si potrebbe pensare che gli Usa siano il Paese occidentale dove si spende di più per la sicurezza, ma non è così.

Determinare con precisione la spesa complessiva per la sicurezza interna dei Paesi membri dell’Unione Europea è più complesso, poiché le voci di spesa variano tra gli Stati e spesso si sovrappongono con altre categorie, come la difesa o la giustizia. Tuttavia, possiamo fornire una stima attendibile basata sui bilanci pubblici dei diversi ministeri dell’interno. Scopriamo così che tra forze di polizia, protezione civile e gestione delle frontiere la media di spesa Ue arriva all’1,5%, circa tre volte quella degli Usa. La differenza è anche attribuibile al fatto che ogni Paese dell’Ue gestisce autonomamente la propria sicurezza interna, con ministeri e agenzie dedicati, mentre gli Usa hanno una singola gestione amministrativa. Ma resta il dato di una maggiore propensione europea a spendere in sicurezza, che smentisce la percezione comune sugli Usa.

SICUREZZA E REATI, I RAPPORTI EUROSTA E OCSE

Secondo i rapporti Eurostat e Ocse è la Francia a guidare questa classifica “law and order”, comprendendo le spese regionali e comunali, con una spesa stimata di 57,5 miliardi di euro, ovvero il 2,3% del Pil. Segue la Spagna con l’1,8%, dovuto alla sua struttura decentralizzata, con una maggiore frammentazione delle competenze tra Stato e Comunità Autonome. La Spagna, oltre ai problemi del passato con il terrorismo interno, l’Eta in prevalenza, ed esterno con gli attentati jihadisti subiti, è anche un punto d’ingresso per l’immigrazione dall’Africa e dal Mediterraneo La Germania invece, con il suo 1,5% di spesa rispetto al Pil, in apparenza minore degli altri due paesi citati, ha investito molto sulle tecnologie di sorveglianza, lasciando meno margine per costi operativi.

L’immigrazione è una voce diventata ormai prioritaria nella spesa dei bilanci europei per la sicurezza interna. La Grecia, ad esempio, è un punto d’accesso primario per l’immigrazione clandestina dall’Asia e dal Medio Oriente e questo comporta costi significativi per il controllo delle frontiere, soprattutto marittime che fanno lievitare la spesa al 2,1% rispetto al Pil. Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, viene finanziata ogni anno nel bilancio europeo con circa 900 milioni di euro. Per avere chiaro il quadro va detto che per il Programma Ue per la Salute, EU4Health, l’Unione spende circa 754 milioni di euro l’anno.

LA SITUAZIONE NEL NORD EUROPA

Spostandoci nell’Europa del Nord, troviamo conferma al sospetto che spendere soltanto in “repressione” del crimine non sia una strada efficace. Il piano quantitativo della spesa non è proporzionale al dato qualitativo del successo delle politiche di protezione dei cittadini. In Francia abbiamo un tasso di 119 persone in carcere ogni 100 mila abitanti, 126 in Spagna, 77 in Germania. Il dato si abbassa notevolmente, con una spesa media dell’1,7% in sicurezza nei tre principali paesi scandinavi, a 65 detenuti per 100 mila abitanti in Norvegia, 63 in Danimarca e 56 in Svezia.

SICUREZZA E REATI, LA SITUAZIONE DELL’ITALIA

L’Italia ha invece una media di 90 detenuti ogni 100 mila abitanti e spende lo 0,56 del Pil e il 3,7% del suo bilancio in sicurezza. In totale, le forze dell’ordine nel nostro Paese contano 300.425 unità nel comparto sicurezza (polizia, carabinieri, finanza, penitenziaria, forestale) con una distribuzione capillare su tutto il territorio nazionale, che comprende anche le varie polizie locali. Secondo il Piano Integrato di Attività e Organizzazione 2023-2025 del Ministero dell’Interno la dotazione organica complessiva del personale civile è di 20.345 unità. Tuttavia, al 1° gennaio 2023, risultavano in servizio 15.142 unità, evidenziando una carenza di personale civile rispetto alla dotazione prevista, molto al di sotto della media europea.

In Italia, la sicurezza presenta forti differenze tra Nord e Sud, evidenziando disparità strutturali e operative. Al Nord, la criminalità è prevalentemente legata a reati economici e infiltrazioni mafiose nei settori finanziari. Le forze dell’ordine dispongono di risorse migliori, tecnologie avanzate e tempi di risposta più rapidi, contribuendo a una percezione di maggiore controllo. Al Sud, invece, il peso della criminalità organizzata è dominante, con mafie che gestiscono estorsioni, racket e traffici illeciti, creando un clima di sfiducia nelle stesse forze dell’ordine, sottodimensionate e afflitte da risorse insufficienti. Nonostante una maggiore necessità, le carenze infrastrutturali e la lentezza della giustizia aggravano ulteriormente la situazione.

LA LINEA DEL GOVERNO MELONI SU REATI E SICUREZZA

Pur registrando un sostanziale approccio repressivo più che sociale da parte di tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni, di centrosinistra, di centrodestra e di unità nazionale, è indubbio che il governo Meloni ha portato le politiche di pura repressione al punto più alto. Il decreto Cutro, contro l’immigrazione clandestina, incurante delle morti in mare di poveri disgraziati in cerca di cibo, le norme contro i Rave party, l’inasprimento delle pene per gli eco attivisti. C’è poi il cosiddetto “decreto Caivano”, che ha inasprito le pene per i minori coinvolti in reati gravi, rendendo possibile perseguire penalmente adolescenti a partire dai 12 anni, portando a un incremento del 37% la presenza di minori in carcere, nonostante la diminuzione dei reati sia stata soltanto del 4%.

A far discutere più di ogni altro provvedimento è stato il Decreto sicurezza, che viene visto da molti come un tentativo di limitare la libertà di manifestazione e di critica. E vanno in questa direzione le querele ai giornalisti da parte di ministri e della stessa premier. La svolta autoritaria dei governi che inaspriscono le pene e aumentano la spesa per la repressione senza ridurre i reati, dimostra l’inefficacia di un approccio puramente punitivo. E anche il cinismo nell’utilizzo della paura nella comunicazione rivolta ai cittadini.


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