Il parlamento italiano
3 minuti per la letturaIl toro che minaccia il nostro Paese, e che si deve prendere per le corna, è la crisi della nostra coesione come sistema.
In questa torrida estate in cui sembra ci si avvii ad archiviare il tormentone sull’ipotesi di scioglimento anticipato della legislatura (ad oggi improbabile), sembra non esserci tempo per affrontare il grande problema che sta davanti al nostro Paese. Il quale problema non è il contenimento dei flussi migratori y su cui speculano da opposti populismi la Lega e le ONG in cerca di facile gloria mediatica; non è la questione se ammettere Atlantia alla cordata di salvataggio di Alitalia o fare un po’ di giustizialismo a buon mercato revocando la concessione ad Autostrade, come provano a proporci i Cinque Stelle.
Non è neppure decidere se il PD riguadagnerà la possibilità di essere alternativa grazie a quelli che corrono sulle navi dei migranti, o grazie a Matteo Renzi che prova a ritornare nel ruolo di quello che spiega tutto, o grazie a Zingaretti che prova a tenere insieme tutto. Altrettanto non è un problema chiave di questo paese il tentativo divergente di Toti e Carfagna, assai poco uniti nella lotta, di cavare Forza Italia dalla sua marginalità.
No, il problema dell’Italia è la sua lenta, ma progressiva perdita del senso di essere una nazione. I partiti politici sono tutti concentrati a ricercare ciascuno di guadagnare qualche settore marginale di consenso, giusto per allargare un poco la propria platea: possono essere i no vax a cui si promette un alleggerimento senza senso della legge Lorenzin, i no Tav a cui si vuol far digerire la Tav illudendoli su un’opera che si farà, ma rivista, e via elencando. Ma così non si prende per le corna il toro che minaccia il nostro paese, che è la crisi della nostra coesione come sistema.
Possiamo riempirci la bocca con la storia del paese fondatore, ma dovremmo fare i conti col fatto che dall’ultimo confronto al tavolo europeo siamo usciti a voler essere ottimisti come pesantemente ridimensionati. I nostri partner internazionali ci guardano come un sistema in preda a convulsioni preoccupanti, privo di una politica che abbia l’ambizione di prendere in mano i nostri numerosi squilibri. Certo che poi sanno che proprio in questo panorama ci sono eccezioni, isole di sviluppo molto interessanti, eccellenze di rilievo. Ma questo non ci rende credibili, ci rende solo attrattivi per le prede che ciascuno potrà portarsi a casa approfittando della nostra debolezza complessiva. Gli osservatori attenti lo segnalano da tempo, vuoi per lo shopping che grandi gruppi stranieri fanno nel supermercato della nostra economia, quanto per la partenza da questo di soggetti italiani che in anticipo si preparano a trovar casa in un altro mondo.
Illudere gli italiani che ciascuno potrà cavarsela fuggendo da una responsabilità comune significa rischiare che si avvii la dissoluzione del nostro sistema nazionale. Senza la sua tenuta proprio come “sistema” l’Italia non reggerà nella grande trasformazione che si è avviata e che sta alla base di tutte le inquietudini che percorrono il mondo in generale e l’Europa in particolare. Ricordiamoci che un sistema nazionale tiene se è in grado di garantire ai suoi cittadini, ovunque siano collocati, la fruizione dei grandi servizi che, diciamolo francamente, sono quelli che misurano il suo tasso di sviluppo civile: la sanità, l’istruzione, la mobilità, i servizi generali. Se questi non sono organizzati in un’ottica nazionale, se non sono la base dell’eguaglianza sociale che è fondamento della cittadinanza democratica, l’Italia perde la sua coesione come paese. Arriviamo a dire che non è poi detto che ciò significhi rilanciare un vecchio centralismo burocratico che ha fatto ed esaurito la sua storia. Vogliamo dire piuttosto che è tempo di avviare un grande, davvero grande sforzo del Paese per rimettere in piedi queste condizioni senza le quali non ci sono né modernità né democrazia.
I partiti, ma più in generale tutto ciò che “fa politica” lo deve capire e deve agire di conseguenza: partendo dall’analizzare perché siamo arrivati a questo punto (ma senza perdersi in inutili processi moralistici al passato), ma iniziando subito a mettere mano ad una grande riforma.
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