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Le dimissioni di Geoffrey Hinton dalla gigantesca azienda americana di servizi informatici possono aver indotto il management ad un ripensamento sulla politica industriale. Per questo Google è al lavoro per nuove strategie contro gli hacker e una nuova intelligenza artificiale
C’è fermento in casa Google. Le dimissioni di Geoffrey Hinton dalla gigantesca azienda americana di servizi informatici possono aver indotto il management ad un ripensamento sulla politica industriale del gruppo, i progetti in divenire, gli ambiti applicativi e la stessa mission della ‘casa’ per accreditarne un’immagine più rassicurante presso il vasto e variegato pubblico di utenti.
Settantacinque anni, psicologo cognitivo e scienziato informatico, considerato il padrino dell’intelligenza artificiale, pioniere della ricerca sulle reti neurali e sul “deep learning”, vincitore nel 2018 del prestigioso premio ‘Turing Award’, Hinton ha lasciato con una motivazione che fa riflettere: “I programmi di IA hanno fatto passi da gigante e ora “sono piuttosto spaventosi.
Al momento i robot non sono più intelligenti di noi ma presto potrebbero esserlo”, ha affermato alla BBC prefigurando scenari distopici impensati persino dalla fantascienza. “Il chatbot potrebbe presto superare il livello di informazioni di un cervello umano, mentre ‘cose’ come GPT-4 oscurano una persona nella quantità di conoscenza generale”.
Un ripensamento così radicale per uno scienziato ha quasi il significato etico di una riconversione: il messaggio lanciato è che “attori cattivi” potrebbero usare l’IA per “cose cattive”.
Intanto Kepios – società di consulenza strategica che si occupa di identificare i cambiamenti nel comportamento digitale e tradurre intuizioni e tendenze – fornisce dati significativi sul mondo dei social: il numero di utenti attivi è di 4,88 miliardi – pari al 60.6% della popolazione mondiale (che ha superato gli 8 miliardi di persone).
Un numero di navigatori social che si avvicina ai 5,19 miliardi di utenti internet, pari al 64,5 % degli abitanti del pianeta. Il tempo medio trascorso sulle piattaforme social è di 2 ore e 26 minuti al giorno, tenendo conto dell’intensità nelle diverse aree del mondo: di questi il 53,6% sono uomini, pur considerando gli account automatizzati e le registrazioni simulate con identità diverse. Le piattaforme più seguite sono META (che possiede Instagram, Facebook e Whatsapp), poi Twitter, Messenger e Telegram mentre in Cina Tik Tok domina su WeChat e l’affiliata Douyin (ma si espande nel resto del mondo ad una velocità impressionante).
I dati sugli utenti del web e i frequentatori dei social rendono una pallida idea delle dimensioni gigantesche e inarrestabili degli ingressi nella navigazione online. Uno degli impliciti che ne derivano riguarda la protezione dei dati personali, la tutela della privacy e le ingerenze della cd. ‘mafia digitale’ e di tutti gli agenti che si interfacciano o entrano a gamba tesa nei contatti ai fini di orientare opinioni e contenuti. Il fenomeno dell’hackeraggio è talmente pervasivo da costringere i gestori e le autorità a continue azioni di blocco e di controllo.
Non c’è sito, utenza o account che siano esenti da queste infiltrazioni fraudolente. Ciò dovrebbe indurre i decisori politici e i servizi particolarmente sovraesposti come la pubblica sicurezza, la giustizia, la sanità e soprattutto la scuola a rallentare cum grano salis l’adesione acritica e pervasiva alla deriva della digitalizzazione “ovunque e comunque” essa si esprima.
La strategia di Google contro gli hacker
Per questo motivo la Google ha intrapreso un progetto che prevede che un nucleo di dipendenti volontari aderiscano ad una iniziativa che prevede l’uso di PC e dispositivi di scrittura preliminarmente disattivati dall’accesso ad internet, fatta eccezione per l’uso della posta elettronica e del cloud rigorosamente targati Google, impedendo che vengano installati altri software o frequentati siti esterni. Una mossa sperimentale significativa circa i pericoli di infiltrazioni degli hacker e potenzialmente applicabile ad es. nella P.A.: ribadiamo l’importanza di iniziative di protezione nel mondo della scuola anche per gli stessi insegnanti. Non è infatti necessario per lavorare con le tecnologie restare sempre connessi e questo dovrebbero capirlo autorità ministeriali e dirigenti scolastici come modalità intelligente di autotutela.
Ciò agevolerebbe chi lavora in presenza o in smart working e preserverebbe i terminali da infiltrazioni perniciose, proteggendo i dati riservati, in linea con la direttiva europea di cui al Regolamento GDPR 679/2016.
Ma Google non gioca solo in difesa: è infatti in arrivo Gemini, un progetto che mira a creare un’intelligenza artificiale all’avanguardia, una risposta a ChatGpt che aveva sollevato interrogativi etici tanto da essere inizialmente ‘bloccato’ dal Garante per la tutela dei dati sensibili e personali.
L’intenzione del team che ha creato Gemini (guidato dal CEO di DeepMind, Dmis Hassabis) è di offrire un’esperienza di fruizione più naturale e coinvolgente, creando una IA in grado di osservare il mondo e giudicarlo con criteri simili a quelli umani, a cominciare dal linguaggio. Gemini vorrebbe essere il chatbot in grado di interagire con l’ambiente, affiancando l’uomo come strumento per conoscere e gestire la realtà.
Vedremo se alla presentazione del progetto il portato innovativo di questa applicazione dell’IA sarà in grado di rispettare le aspettative attese che dal mio punto di vista provo a riassumere così: l’uomo da una parte e lo strumento dall’altra, con ampia facoltà di avvalersene conservando identità, autonomia decisionale, capacità di discernimento, possibilità di ‘abbandono’ e uso del pensiero critico.
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