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NEL 2019 i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) segnalavano una progressiva diminuzione del consumo di alcolici nel mondo, ma oggi nuove analisi indicano che oltre 1,3 miliardi di persone nel mondo consumano quantità di bevande alcoliche in misura dannosa per la salute.
I dati di Global Burden of Disease, pubblicati sulla rivista The Lancet, tengono conto delle stime complessive relative al 2020; dall’analisi emerge che a superare i valori soglia sono in larga maggioranza gli uomini (1,03 miliardi) rispetto alle donne (0,312 miliardi) e che il 59,1% di chi consuma quantità rischiose di alcol ha un’età compresa fra 15 e 39 anni.
Queste stime si allineano all’ultima analisi sul consumo medio di alcolici in Italia, condotta dal sistema di sorveglianza Passi (Progressi delle aziende sanitarie per la salute in Italia), dalla quale emerge che sono soprattutto i giovani, di sesso maschile, socialmente avvantaggiati e residenti nel nord Italia i consumatori di alcol considerati ‘a maggior rischio’ nel nostro Paese. Questa stima, realizzata dalle Asl e coordinata dal Iss (Istituto superiore di sanità) è stata condotta con l’obiettivo di monitorare lo stato di salute della popolazione adulta italiana rispetto al biennio 2020-2021.
Il periodo considerato consente infatti di analizzare i dati alla luce dell’impatto della pandemia sui comportamenti e gli stili di vita, ma dallo studio emerge che le tendenze rilevate sono sostanzialmente in linea con il quadriennio precedente, desumendo che non sono stati i lockdown ad esacerbare il consumo medio di alcol fra gli italiani.
Solo il 44% degli adulti tra i 18 e i 69 anni ha dichiarato di non aver consumato bevande alcoliche negli ultimi 30 giorni al momento delle indagini, ed una persona su sette (15%) si colloca nella fascia di consumo considerata a ‘maggior rischio‘ per la salute (per quantità o modalità di assunzione).
Fra i comportamenti pericolosi rientra il cosiddetto binge drinking, ossia il consumo smodato di unità alcoliche in una sola occasione (stimato a cinque o maggiore per gli uomini e quattro o più per le donne) ed il consumo esclusivamente/prevalentemente fuori pasto.
Sono soprattutto giovani uomini a fare un uso sconsiderato di bevande alcoliche, con il 30% dei dati riferito all’età tra 18-24 anni. Soprattutto per le donne, tuttavia, il consumo di bevande alcoliche aumenta al crescere del titolo di studio conseguito. A seguito degli anni della pandemia, ci sono state diverse voci che hanno sottolineato come il concetto di “divertimento” si sia trasformato nel corso delle generazioni.
L’aspetto interessante è che – secondo i numeri – i giovani di oggi bevono tanto quanto gli anziani, ma sono portati a scegliere meno il vino e a preferire superalcolici. Il consumo rischioso di alcol è però un delicato problema di salute pubblica, legato in Europa al circa 4% di tutte le morti e 5% degli anni di vita persi per disabilità.
Al danno biologico sono inoltre associabili danni indiretti generati da comportamenti irresponsabili, violenti ed incidenti spesso mortali o invalidanti. Certamente generalizzare, ritenendo che l’unica modalità di svago dei più giovani sia legata all’eccesso, sembra un errore, perché sono tanti i ragazzi che scelgono di divertirsi in modo differente.
Resta comunque che il mondo, soprattutto negli ultimi anni sta velocemente cambiando, comportando altresì un nuovo modo di vivere il tempo libero, contribuendo ad atteggiamenti spesso poco ponderati o pericolosi. Nonostante i numeri allarmanti, nel nostro Paese l’attenzione degli operatori sanitari (soltanto il 6% dei consumatori a ‘maggior rischio’ riferisce di aver ricevuto da personale medico il consiglio di bere meno) e delle istituzioni al problema dell’abuso di alcol sembra ancora inadeguata.
Geograficamente parlando, in Italia persiste la distinzione legata alle tradizioni locali, essendo noto il consumo di alcolici storicamente più diffuso nel Nord Italia, dove però aumenta anche il consumo di tipo binge; il peggior valore nazionale si registra in Emilia-Romagna, Friuli-Venezia-Giulia, Molise, Piemonte, Provincia di Bolzano e Trento e Veneto.
Sembra importante sottolineare che nell’indagine non si fa riferimento ai dati della Lombardia, che ha infatti partecipato al sistema Passi solo fino al 2017, malgrado il Dpcm di istituzione della sorveglianza che la definisce come un’attività a rilevanza nazionale a cui tutte le regioni dovrebbero aderire.
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