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Non più fanalino di coda dell’Ue a livello di crescita, l’Italia scopre di esserlo sul fronte delle quarte dosi dei sieri anti Covid, dopo essere stata a lungo un modello – europeo e mondiale – proprio in ambito vaccinale. I dati sono lì a dimostrarlo, se a livello di ciclo primario (le prime due somministrazioni), abbiamo coperto quasi il 91% della popolazione over 12 e con il booster (terza dose) sfioriamo l’85%, a livello dell’ulteriore richiamo ci fermiamo a circa il 25%. Il tutto mentre (per i pochi che hanno aderito al secondo booster) è da qualche settimana possibile effettuare la quinta inoculazione, adattata alle ultime varianti, a patto che dall’ultima siano trascorsi almeno 120 giorni.
«Con le quarte dosi siamo uno degli ultimi Paesi d’Europa – ha commentato a “L’Italia s’è desta” su Radio Cusano campus il presidente della fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta – Noi abbiamo svoltato nel 2021 sia con le coperture vaccinali, sia con la mutazione del virus che è diventato molto meno aggressivo. Bisognerà gestire queste ondate periodiche che non sono sempre prevedibili. Purtroppo con le quarte dosi per i fragili siamo molto indietro e questa non è una bella cosa».
Ma perché gli italiani, così ligi (a volte sino all’ossessione) e patriottici nel rispondere alla chiamata alle armi della guerra al virus, stanno mollando la presa? Basta fare un giro di domande tra i propri contatti più stretti per avere una prima risposta. C’è chi si definisce «stanco da questa storia del Covid», chi dice di «voler trattare, ormai, questa malattia come un’influenza» e chi, più drastico, afferma di non voler «pensare più al coronavirus». Tecnicamente si chiama “pandemic fatigue”, letteralmente “fatica da pandemia”, che l’Oms definisce come «una condizione mentale di demotivazione nel seguire i comportamenti protettivi raccomandati».
Dopo quasi tre anni, sostanzialmente, abbiamo consumato le energie da dedicare al problema, perdendo il focus. Questo ci porta a una situazione di insofferenza nei confronti del Covid, che si traduce in una minore rigorosità. I numeri del virus, d’altro canto, non sono così gravi da suggerire una condotta diversa. L’ultimo report di Iss e ministero della Salute evidenzia sì un aumento dei ricoveri ma al di sotto della soglia sicurezza. «Per quanto riguarda il tasso di occupazione da parte dei pazienti Covid nei reparti di area medica e nelle terapie intensive – ha spiegato il dg Prevenzione del ministero, Gianni Rezza – siamo rispettivamente all’11% e al 2,5%, quindi anche in questo caso un leggero aumento delle ospedalizzazioni, anche se si rimane ben al di sotto di ogni soglia di criticità».
Quadro poco allarmante che ha portato il nuovo governo ad accelerare sull’allentamento del poco di misure ancora vigenti. Nei fatti l’unico obbligo prorogato è stato quello delle mascherine nelle strutture sanitarie. Con il primo Consiglio dei ministri è stato, invece, disposto il reintegro degli operatori (medici, infermieri ecc) non vaccinati, ufficialmente per problemi legati alle carenze di personale. Nulla è stato deciso, d’altra, sul fronte del congelamento delle multe agli over 50 che non hanno aderito alla campagna vaccinale nel periodo di vigenza dell’obbligo. La maxi-sanatoria pensata in un primo momento dall’esecutivo (tanto da progettare di inserirla nel dl Aiuti quater) è finita in ghiacciaia, con il ministro Orazio Schillaci che ha preferito rimettere la questione alle Camere.
Si lavorerà, invece, sulle quarantene, alleggerendone ulteriormente il regime, in particolare per i positivi asintomatici che saranno tenuti a restare in casa per 4/5 giorni, potendo poi uscire (decorso il termine) senza la necessità del tampone negativo. Schillaci ha ipotizzato che l’isolamento light possa essere esteso anche a quanti accusano sintomi lievi, risolti nel giro di pochi giorni. Ma non è escluso che per un determinato periodo di tempo queste persone debbano indossare la mascherina.
La direzione intrapresa dal governo Meloni, insomma, porterà a “normalizzare” i protocolli, puntando a trattare il Covid come un male stagionale. Non a caso Schillaci ha annunciato il lancio di una campagna vaccinale congiunta Covid/influenza, affidata ai medici di base e destinata in particolar modo ai pazienti anziani o fragili con l’obiettivo di far aumentare le dosi somministrate.
Il banco di prova sarà rappresentato dal post-Natale, quando mediamente la curva dei contagi (di entrambe le malattie) inizia a crescere rapidamente sino a lambire le prime settimane di primavera. Lì valuteremo la tenuta del sistema e capiremo se, davvero, potremo metterci alle spalle definitivamente l’incubo iniziato nel 2020.
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