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Il Consiglio dei ministri di giovedì scorso ha completato il quadro delle misure anti Covid adottate nel 2021. Almeno sino al 31 gennaio gli italiani dovranno indossare la mascherina all’aperto e fino al 31 marzo è previsto l’obbligo di Ffp2 a cinema, teatro e negli eventi sportivi. Dal 1° febbraio la durata del Green pass scenderà a sei mesi, mentre quello rafforzato sarà necessario per accedere a musei, palestre e per consumare anche al banco in bar e ristoranti. Sempre sino al 31 gennaio saranno vietati concerti, feste ed eventi di piazza mentre per le discoteche torna l’incubo della chiusura.
Il provvedimento conferma quanto la storia della pandemia, nel 2021, sia strettamente connessa a quella delle vaccinazioni. E allora, solo per l’anno corrente, vale la pena spostare il Capodanno indietro di quattro giorni, al 27 dicembre 2020 che l’Unione europea ribattezza V-Day, data scelta per le prime somministrazioni in tutto il territorio comunitario. Da pochi giorni l’Ema ha autorizzato il siero prodotto da Pfizer e Biontech, cui seguiranno gli ok – il 6 gennaio – a quello di Moderna e – il 29 gennaio – a quello di Astrazeneca, il più atteso. Si comincia con il personale sanitario, in prima linea nella lotta al virus, ma gli effetti visibili sul contagio cominceranno a registrarsi solo da febbraio, quando la profilassi verrà estesa agli over 80 e persone fragili, sia pur con le consuete difformità fra regioni. Aspetto, quest’ultimo, che diventerà uno dei nodi da sciogliere per il nuovo commissario straordinario, il generale Francesco Paolo Figliuolo, nominato il 1° marzo in sostituzione di Domenico Arcuri.
Da un paio di settimane, infatti, a Palazzo Chigi è arrivato Mario Draghi, col doppio obiettivo di accelerare il processo di uscita dalla pandemia e di rassicurare i partner europei sul fronte del Recovery plan, garantendo l’atteso cambio di passo riformista dell’Italia.
Facciamo un passo indietro: l’ultimo atto del governo Conte è stata la stretta di Natale che limita le occasioni di contagio durante le feste. Col nuovo anno, dunque, i casi tornano a diminuire. Si tratta di una pausa perché in Gran Bretagna si materializza una nuova minaccia: la variante inglese (in seguito Alfa), dotata di una maggiore capacità di diffusione. La primavera, dunque, sarà contraddistinta da un’altra ondata. Così a metà marzo il governo Draghi vara una nuovo decreto che sospende sino a dopo Pasqua le zone bianche e quelle gialle, lasciando solo le arancioni e le rosse. In queste ultime, fra l’altro, chiuderanno tutte le scuole, compresi nidi e materne. Si tratta di un modo per accelerare sulle vaccinazioni riducendo, nel contempo, la circolazione del virus.
Ma sul fronte dei sieri scoppia la grana Astrazeneca. In un numero limitato di casi – specie fra le donne under 50 – a seguito della somministrazione si verificano episodi di trombosi, talvolta fatali. Diversi Paesi Ue interrompono autonomamente l’utilizzo del vaccino sviluppato a Oxford. In Italia lo stop dell’Aifa arriva il 15 marzo, in attesa di ulteriori verifiche da parte dell’Ema. Che pochi giorni dopo ribadisce la sicurezza di Astrazeneca; in Italia si riparte ma il ritardo pesa e, soprattutto, la popolazione non ha più piena fiducia nel siero anglo-svedese. Stesso destino di Astrazeneca subirà il monodose Johnson & Johnson (nel frattempo approvato) che sembra provocare simili (rarissimi) effetti collaterali.
L’avanzo delle dosi di Az, in estate, viene utilizzato dalle regioni per lanciare gli open day, giornate dedicate all’immunizzazione che non seguono il calendario del piano vaccinale ma sono rivolte a tutti gli over 18. Proprio a seguito di una somministrazione, però, in Liguria la 18enne Camilla Canepa muore per una trombosi. Il caso si riapre. Come conseguenza il ministero della Salute pubblica una circolare in cui raccomanda le inoculazioni con Astrazeneca agli over 60 e – per i più giovani già trattati con una dose – di ricorrere a Pfizer o Moderna per il richiamo. È la pietra tombale sul siero di Oxford.
Nel frattempo l’Italia si gode le riaperture varate a fine aprile dal governo: i dati migliorano e le regioni si tingono, mano a mano di bianco. Il 17 giugno arriva uno strumento decisivo nella fase di convivenza col virus: il Green pass. Hanno titolo per ottenerlo i vaccinati, i guariti e le persone che si siano sottoposte a tampone (anche rapido) nelle 48 ore precedenti. Servirà, in sostanza, per accedere liberamente a una serie di attività, ristoranti e cinema compresi, assicurando la piena ripresa in sicurezza delle attività economiche. Sul finire dell’estate il suo possesso diverrà obbligatorio per una serie di categorie, come gli operatori scolastici. Il governo, del resto, ha deciso di far ripartire le lezioni in presenza e il Green pass innalza il livello di sicurezza negli istituti.
La svolta, però, arriva a ottobre quando la certificazione diventa vincolante per il lavoro, pubblico e privato. Esplode così il fenomeno no Pass, con decine di manifestazioni di protesta contro il lasciapassare che finiscono con l’agevolare il lavoro del virus. La situazione del nostro Paese è la migliore in Europa ma i contagi tornano a crescere. Arriviamo, così, alle ultime misure. Fra queste l’adozione del super Green pass, rilasciato solo a vaccinati e guariti, richiesto per diverse attività (ad esempio al cinema). L’obiettivo è quello di rilanciare la campagna di immunizzazione riducendo i margini di manovra dei non vaccinati. La nuova sfida si chiama Omicron che già gonfia una nuova ondata mentre la terza non si è ancora ritirata.
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