Giorgia Meloni
4 minuti per la lettura«SONO pronta a governare, a guidare un esecutivo che faccia gli interessi degli italiani. Ma so bene che si tratta un impegno da far tremare i polsi» aveva detto Giorgia Meloni alla fine di agosto, quando (sondaggi alla mano) già vedeva profilarsi la vittoria maturata lo scorso 25 agosto. Nella breve dichiarazione rilasciata dopo la netta affermazione di Fratelli d’Italia, la premier in pectore si è mantenuta sobria: nessun brindisi, nessuna festa, nessun attacco agli avversari sconfitti; piuttosto un invito all’unità e alla responsabilità, perché il momento è serio.
Nelle prossime settimane, d’accordo con il Colle, si correrà a più non posso nella formazione di una squadra di governo che Meloni ha assicurato «sarà di livello». L’obiettivo è essere pienamente operativi per la metà di ottobre, in modo da mettere subito mano a dossier più caldi. Il primo, neanche a dirlo, è quello del caro bollette, su cui in questi giorni è iniziato il confronto con gli alleati della futura maggioranza. E forse, si dice, con lo stesso Mario Draghi. Del resto la ricetta proposta da Meloni è grossomodo la stessa portata avanti dal presidente del Consiglio uscente: il price cap sul prezzo dell’energia. Ma sul punto l’ultimo Consiglio Ue energia – andato in scena venerdì scorso – ha fatto emergere le divisioni fra Stati membri e il sostanziale muro della Germania. Meloni, in campagna elettorale, ha più volte ribadito che non intende ricorrere a sforamenti di bilancio, in questo ponendosi in contrasto con Matteo Salvini. Si starebbe quindi valutando un decreto aiuti quater da circa 25 miliardi di euro.
La crisi energetica si collega alla guerra in Ucraina. Anche in questo caso la posizione del futuro capo del governo è netta: atlantismo, pieno allineamento con gli Stati Uniti e la Nato e sostegno all’Ucraina. Certo è che, pure qui, la situazione si è tremendamente complicata dopo l’annuncio dei referendum nei territori occupati dai russi e la successiva annessione unilaterale degli stessi. A parole l’Occidente mantiene fede alla linea dell’intransigenza ma qualcosa nella strategia da usare con Mosca dovrà cambiare. Si proseguirà sulla strada delle sanzioni mentre, in ambito militare, i margini di manovra si fanno più stretti. Il riconoscimento dell’annessione sarà pure unilaterale ma per il Cremlino il Donbass, Kherson e Zaporizhzhia sono ormai parte integrante del proprio territorio nazionale. Ciò significa che un’offensiva ucraina per la riconquista di quelle regioni può giustificare, per i russi, l’impiego di più uomini (attingendo dai 300mila riservisti mobilitati da Putin) e dei pezzi da novanta del loro arsenale. Magari non le armi nucleari ma mezzi comunque distruttivi. In questo particolare dossier Meloni rischia di irrigidire i rapporti con Salvini che da tempo esprime perplessità sulle sanzioni.
Al netto delle bollette, in ambito economico ci sono diverse questioni aperte. La legge di Bilancio è la scadenza più vicina e ci sono anche da raggiungere tutti gli obiettivi del Pnrr se si vogliono mettere al sicuro i vitali fondi europei. Ecco perché Meloni cerca un profilo tecnico per il ministero di via XX settembre. Complessa sarà la partita sul reddito di cittadinanza, che la leader di Fdi vorrebbe limitare alle sole persone che non possono lavorare. Con la prossima Finanziaria potrebbe essere introdotta la decadenza dal beneficio alla prima offerta di lavoro rifiutata (oggi la perdita del sussidio scatta al secondo no). Cavalli di battaglia del centrodestra sono il taglio al cuneo fiscale e la flat tax. Quest’ultima misura potrebbe solo essere accennata nell’immediato, rimandando al prossimo anno una revisione più generale del fisco. Attenzione, poi, al caso Ita, la compagnia erede di Alitalia che il governo Draghi ha avviato verso la cessione al gruppo Air France-Klm e su cui il prossimo esecutivo potrebbe voler dire la sua. Sullo sfondo resta lo spettro del Covid, ormai surclassato da crisi energetica e guerra, ma pur sempre presente.
Gli ultimi dati certificano (come ampiamente previsto) una ripresa della pandemia in autunno: i contagi crescono, il calo delle ospedalizzazioni frena. Con lo stato di emergenza alle spalle non si tornerà (salvo clamorosi colpi di scena) al regime delle chiusure. Pressoché impossibile una riproposizione del Green pass, sia pur limitata. Anche sul fronte mascherine (dal 1° ottobre limitate alle sole strutture sanitarie e alle Rsa) lo scenario peggiore consisterà nel mantenimento degli attuali obblighi. Per quanto riguarda, infine, i vaccini è possibile che i toni perentori del ministro Roberto Speranza vengano sostituiti da semplici raccomandazioni.
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