Il reggente del Movimento 5 Stelle, Vito Crimi
3 minuti per la letturaCon la votazione dell’11 febbraio, il Movimento Cinque Stelle ha sciolto ufficialmente le riserve circa l’appoggio al Governo Draghi. In seguito alla votazione su Rousseau, i grillini hanno così consentito la creazione di un nuovo esecutivo, mettendo tuttavia a repentaglio la credibilità del proprio partito; se da un lato il seguito dei pentastellati ha espresso sostegno per quella che è stata una scelta determinata dalla preferenza del proprio elettorato online, d’altra parte non sono mancate analisi politiche che sottolineano la profonda incoerenza di chi, un tempo, prometteva che non si sarebbe mai immischiato con “gli altri”.
L’ipocrisia di tale affermazione era già emersa nel corso degli ultimi anni, dopo l’appoggio indistinto dei 5S agli ultimi Governi, cosicché non sorprende la scelta del partito di Beppe Grillo. Ma i chiari di luna, in politica, non sono una rarità e, d’altra parte, va detto che Mario Draghi ha messo d’accordo praticamente tutti; il nuovo Presidente del Consiglio può vantare infatti non solo del pieno consenso dell’opinione pubblica, ma anche di una delle più ampie maggioranze parlamentari viste da parecchio tempo a questa parte.
Se il MoVimento asseconda dunque inaspettatamente – o quasi – il progetto politico di uno dei principali “tecnocrati di Bruxelles”, la presenza del partito nella squadra di Governo non è quella che lascia maggiormente perplessi tutti coloro che, invece, già vedevano in Mario Draghi il fautore del cambiamento politico.
L’idea di un Governo necessario alla salvaguardia “del bene del Paese” si è tradotta infatti nella formazione di un esecutivo nato dalle fila di tre importanti ed eterogenei ex-governi, quello giallo-verde, il Conte Due e – persino – l’ultimo governo Berlusconi. Una linea politica che ha deluso coloro che speravano che Mario Draghi operasse una scelta realmente innovativa nella selezione della sua squadra di Governo.
Tuttavia, la decisione di affidare alcuni ruoli chiave a persone di comprovata esperienza e competenza tecnica, suggerisce comunque l’idea che Draghi possa effettivamente imprimere un cambiamento in ambiti specifici, sebbene sia troppo prematuro ipotizzarne i risultati. Quel che è certo è che la responsabilità dei partiti sarà dunque ora quella di supportare un Premier che gode già di un’ottima reputazione, anche al di fuori dei confini nazionali.
L’appello alla responsabilità nazionale ha permesso al nuovo leader di presentare una lista di ministri che fosse quanto più accettabile possibile, avendo anche l’accortezza di non scontentare nessuno. In una squadra di 23 ministri, 15 arrivano dai partiti, mostrando una componente politica forte, di cui l’unica vera delusione appare nella composizione: le donne restano in minoranza, solo 8, appena il 35% della squadra di Governo.
Che il Pd non abbia presentato nessuna donna per un ministero nel neonato Governo Draghi è del resto un punto particolarmente dolente per il Partito democratico. Eppure, la retorica del “bene del Paese” ha messo tutti d’accordo, da destra a sinistra, facendo passare in secondo piano qualsiasi controversia, a vantaggio dell’apparente facilità con cui è stato possibile trovare un certo equilibrio politico, nonostante la difficoltosa situazione sociale.
Forse è per questo che la narrazione della crisi ha assunto un punto di vista omogeneo, e l’entusiasmo nel vedere una figura competente come nuovo Premier ha fatto dimenticare che di “bene del Paese” sarebbe possibile parlare solo se fossimo, effettivamente, tutti concordi nel definire questa espressione.
Occorrerebbe infatti innanzitutto stabilire come questo presunto bene si misuri; se vogliamo valutarlo dunque in termini di crescita del Pil e degli investimenti, o piuttosto nell’ottica di una ridefinizione del concetto di benessere che verta su valori differenti.
L’entusiasmo per la nomina di Mario Draghi è determinato soprattutto dalla competenza dell’ex Governatore della BCE nell’occuparsi di aspetti economici, capacità che darebbe al Paese la possibilità di risollevarsi da un punto di vista economico. Al centro di tanto consenso c’è comunque l’idea di un benessere definito, soprattutto, nel merito della logica di mercato.
Del resto la crisi di governo deve tener necessariamente conto dell’opportunità data dai soldi europei del Recovery Fund, rilanciato da partiti e dalla stampa tutta come la più grande opportunità di ripresa per il Paese. Bisognerà dunque capire se l’interesse del nuovo Governo sarà di tutelare prevalentemente l’aspetto economico o se, piuttosto, non si apriranno nuove prospettive.
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