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Una statua costretta a fare l’equilibrista. Rifiutata a Milano, la scultura dedicata alla maternità è stata trasportata e inaugurata la scorsa settimana in Senato, accanto alla buvette – titolo: “Dal latte materno veniamo”, di Vera Omodeo – alla presenza del presidente Ignazio La Russa. Aiuterebbe a ricordare – a tutti, madri e non, e anche agli uomini – da dove veniamo, oltre che a festeggiare l’appena trascorsa Festa della mamma. “Le equilibriste – La maternità in Italia 2024” è invece il rapporto sulla maternità pubblicato negli stessi giorni da Save the Children. Un titolo – stando ai dati – molto più realistico, dal momento che se ad una scultura “il meno che si possa chiedere è che stia ferma” (copyright Salvador Dalì), alle madri del nostro Paese, soprattutto al Sud, è richiesto qualcosa di molto diverso: più o meno quello che deve fare chi cammina su un filo teso sospeso nell’aria, di frequente senza alcuna rete sotto. E se le reti sono il welfare, la sanità, gli asili nido e il tempo pieno a scuola, persino dei nonni in buona salute, chi non può contare su tutto questo rinuncia (forse anche responsabilmente) a diventare genitore.
Altro tema, e chissà che un giorno alle nostre latitudini lo si possa affrontare con grazia e naturalezza, riguarda tutte quelle donne che consapevolmente e convintamente scelgono un’altra vita. Non di “non essere” – madri o altro – ma di “essere” e “fare” altro. A prescindere dai servizi, dalle opportunità e dalla parità dei diritti anche lavorativi che spettano a tutte le lavoratrici, madri e non. In attesa, quest’oggi, dei numeri sul disagio degli adolescenti, a cura di “Con i Bambini” e Openpolis nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, nel post-pandemia a far riflettere sono anche i numeri pubblicati sempre da Openpolis riguardanti la povertà minorile generale e lo stato di deprivazione delle famiglie, soprattutto monogenitoriali: secondo l’Istat, nel 2023, sono 1,3 milioni i minori che appartengono a famiglie in povertà assoluta (quindi con gravissime difficoltà rispetto ai beni primari come cibo, casa, vestiario), un numero stabile rispetto al 2022. In pratica, nel 2021 (l’ultima rilevazione) in Italia il 16,9% dei minori di 16 anni nelle famiglie monogenitore si trova in deprivazione. Era il 14,9% nel 2017.
A proposito di madri e maternità, va sottolineato che nelle famiglie monogenitoriali in 8 casi su 10 la persona di riferimento è la madre e che tali famiglie attraversano in molti casi una maggiore vulnerabilità rispetto alla media. Di nuovo le differenze territoriali: Nuoro guida l’incidenza di famiglie monoparentali (14,1%), a seguire Avellino, Caserta, Frosinone, Carbonia e Roma. Le città dove l’incidenza delle famiglia monogenitoriali è minore sono invece Andria (7,1%), Monza (8,1%) e Siena (8,4%). Il rischio di povertà e di deprivazione, insomma, colpisce di più al Sud (così come nelle aree interne e nelle periferie) e colpisce le madri sole con figli a carico. In questo caso, la maternità diventa di per sé un fattore ad alto rischio di esclusione sociale, sia per il minore che per l’intero nucleo familiare a cui appartiene. Se infatti nel 2022, tale rischio investe il 28,8% dei bambini e ragazzi con meno di 16 anni, valore che supera di oltre 4 punti quello medio della popolazione (24,4%), nelle famiglie monoparentali si sale al 39,1%, rispetto al 27,2% delle coppie con figli minori. Ma ciò che più conta rispetto al ripensamento urgente delle politiche legate alla maternità, all’infanzia e al lavoro femminile, è che se il monogenitore è uomo l’incidenza del rischio povertà o esclusione si ferma al 27,6%, mentre quando in famiglia è presente soltanto la madre, questa incidenza arriva al 41,3%. A fare la differenza sono le questioni abitativa e occupazionale, che ancora una volta incidono maggiormente in modo negativo sulla fascia femminile della popolazione.
A loro volta, i numeri sulla povertà educativa, in via di aggiornamento, parlano chiaro ormai da anni, confermando lo stretto legame tra povertà e bassa istruzione. E in questo senso non sono solo le ultime rilevazioni a preoccupare, ma il trend di medio periodo: almeno da un decennio a questa parte infatti la povertà è aumentata soprattutto per bambini e ragazzi (e madri), con un peggioramento sensibile non solo nelle aree più deprivate materialmente come il Sud, ma anche nelle fasce meno istruite della popolazione. Un quadro generale che spiega quel nuovo minimo storico delle nascite in Italia registrato da Save the Children, fermo per il 2023 sotto le 400mila unità e contemporaneamente quel gap territoriale elaborato nell’indice delle madri dall’Istat, che resiste (seppure riducendosi di qualche punto) al Sud, terra quasi off-limits per la maternità. E questo nonostante la partecipazione delle donne al mercato del lavoro riesca ad aumentare, secondo i dati, il tasso di fecondità.
L’altro tema caldo per le madri, e in generale tutte le donne, riguarda un po’ ovunque, ma ancora una volta in misura maggiore nel Sud per mancanza di welfare e di servizi all’infanzia, il cosiddetto “lavoro di cura” non retribuito rispetto alla famiglia di riferimento , con un bilanciamento difficilissimo e fenomeni come il part-time involontario e le dimissioni forzate. Oltre che una frequente rinuncia alla carriera, con conseguente impoverimento del tessuto economico e culturale del territorio di riferimento. I dati dell’altro evento a tema della settimana, quelli della quarta edizione degli Stati Generali della Natalità, dal titolo “Esserci – Più giovani più futuro”, hanno completato un quadro che parla di una sempre minor propensione alla genitorialità, quindi di una popolazione sempre più anziana e più bisognosa di spesa per sanità e assistenza territoriale. Insieme a giovani che restano a casa dei propri genitori, o che espatriano verso il Nord e verso l’estero soprattutto se altamente istruiti, spesso fortemente attratti non solo dal posto di lavoro, ma anche da condizioni di flessibilità aziendali maggiori rispetto alla propria vita privata e familiare (a ricordarcelo, in questo numero, i dati dell’indagine “Decoding Global Talent 2024” condotta da BCG con The Network e The Stepstone Group).
La prima pubblicazione realizzata anche qui in collaborazione con Istat, in base a un protocollo d’intesa firmato dalla Fondazione per la natalità e l’Istituto Nazionale di Statistica, mette in luce poi un quadro che deve preoccupare e ripensare con urgenza e determinazione le politiche e gli investimenti legati allo sviluppo demografico: se nel 1951 ogni 100 giovani c’erano 31 anziani, all’1 gennaio 2024 ogni 100 giovani gli anziani sono diventati 200. Nel 2050, ogni 100 giovani gli anziani saranno più di 300. E le nascite, che nel 2023 sono state 379mila, calerebbero fino a 350mila nuovi nati nel 2050. Il dato allarmante riguarda, infine, i potenziali genitori nel nostro Paese, madri e padri: solo 11,5 milioni di donne e uomini tra i 15 e i 49 anni rientrano infatti in età fertile, con un crollo a partire dal 2011, anno in cui se ne registravano quasi 14 milioni. Fin qui, l’Italia. Ma sempre a proposito di infanzia e maternità, l’Unicef registra, come riportato nell’approfondimento “Dal mondo”, 600mila tra bambine e bambini (un numero in costante e drammatica crescita) nella Striscia di Gaza senza acqua né cibo e un bambino su tre sotto i 2 anni che nella stessa area risulta ormai gravemente malnutrito e senza più casa, genitori e familiari di riferimento. Solo per stare al conflitto più attenzionato degli ultimi mesi.
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