Flavio Briatore
3 minuti per la letturaLA scorsa settimana, in collegamento a Metropolis, Flavio Briatore ha sostenuto la necessità di provvedere ad un giusto compenso per i lavoratori. La discussione si è sviluppata contestualmente ad un’intervista sul tema della difficoltà di reperire personale nel campo della ristorazione. Durante il suo intervento, Briatore ha ribadito fermamente la sua contrarietà al reddito di cittadinanza: “Firmerei per la sua abolizione, anzi lo sospenderei da aprile a ottobre per aiutare il turismo”.
Nel criticare il sussidio introdotto dal governo Conte I, non è la prima volta che l’imprenditore si mostra apertamente dubbioso circa l’effettiva voglia di lavorare dei più giovani. “Molti ragazzi cercano lavoro sperando quasi di non trovarlo […] preferiscono il reddito di cittadinanza a un percorso di carriera” aveva già dichiarato in precedenza.
Il tema della mancanza di personale è in effetti un problema serio per il mondo della ristorazione italiana, che è oggi in evidente difficoltà nel campo delle assunzioni, proprio nel momento in cui dal settore arrivano i primi segnali di ripresa. Rispetto al reddito di cittadinanza (misura del resto criticata da diverse voci) da pochi giorni l’INPS ha pubblicato l’Osservatorio su Reddito e Pensione di Cittadinanza con gli ultimi dati aggiornati al 14 giugno 2022; dal documento emerge che, in media, l’importo erogato a livello nazionale per il reddito è di 575 euro e la distribuzione per aree geografiche vede 426mila beneficiari al Nord, 317mila al Centro e 1,5 milioni nell’area Sud e Isole.
Eppure, secondo altri, le criticità del reddito di cittadinanza sarebbero tutto sommato piuttosto marginali rispetto ad un fenomeno sentito anche all’estero. In Spagna, come ha di recente segnalato il quotidiano “El Pais”, gli imprenditori lamentano ad esempio “una presunta mancanza di vocazione nel settore”.
D’altra parte, anche nella penisola iberica, i lavoratori denunciano orari eccessivamente lunghi, turni notturni non pagati, tagli al salario e precarietà generalizzata. Qui in Italia, le affermazioni di Briatore – che non differiscono da quelle di altri imprenditori – si riallacciano all’acceso dibattito circa la direttiva europea sul salario minimo, nell’ipotesi di ottenere una soglia minima di 9 euro lordi l’ora.
Se infatti oggi si sta assistendo ad un aumento della disoccupazione, è altrettanto vero che oltre all’assenza di lavoro bisogna innanzitutto fronteggiare anche la diffusione del lavoro povero, ossia quello in cui la retribuzione percepita non consente di superare la soglia della povertà. Secondo i più, tra le priorità dell’attuale Governo dovrebbe esservi proprio quella di prevedere meccanismi in grado di determinare un salario in grado di garantire un’esistenza dignitosa.
D’altra parte, se assicurare un rientro economico onesto sembra un’urgenza, sarebbe ingeneroso non considerare rilevante anche il problema, sottolineato da molti imprenditori, del costo del lavoro. A fronte di 300 miliardi di salari lordi, mediamente corrisposti ogni anno nel settore privato, sono stimati circa 180 miliardi di euro tra oneri fiscali e retributivi. Oggi, il cuneo fiscale e contributivo reale sulle retribuzioni è intorno al 60%, ben superiore al 46% indicato dall’OCSE, rappresentando forse la principale motivazione per l’ allontanamento dalla legalità di tanti imprenditori.
Come molto spesso accade, la verità spesso sta nel mezzo, anche rispetto alle difficoltà incontrate dal mercato del lavoro italiano; così come alcuni lavoratori potrebbero scegliere di sfruttare il reddito di cittadinanza per avere entrate senza fatica, allo stesso modo parecchi imprenditori potrebbero fare appello alle tasse elevate per giustificare un trattamento irrispettoso dei propri impiegati.
Anche per evitare l’incremento di comportamenti disonesti, secondo molti bisognerebbe intervenire sul mercato del lavoro italiano, introducendo innanzitutto un salario minimo, ma tenendo allo stesso tempo in conto che questa misura potrebbe risultare fallimentare se non fosse accompagnata da una riduzione delle tasse sul lavoro.
Oggi, lavorare contemporaneamente su questi due aspetti potrebbe essere la strada giusta per far sì che da un lato i lavoratori riescano a percepire più soldi in busta paga e dall’altro consentire agli imprenditori di essere in grado di avere meno tasse, motivandoli ad investire più agilmente sulla forza lavoro.
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