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Contro il gender gap occupazionale, di fronte alle donne che sono in genere più preparate dei loro colleghi uomini, “l’orientamento e nuovi modelli di organizzazione del lavoro possono aprire la strada alla soluzione.
Con la ripresa, la pandemia ha lasciato cicatrici più gravi sull’occupazione femminile, con precarietà e discontinuità più forti specie fra nella classe d’età under 30. Se sono a tempo indeterminato soltanto il 14% dei nuovi contratti e soltanto il 38% delle stabilizzazioni da altre forme contrattuali, nella totalità dei contratti femminili in essere uno su due è a tempo parziale. Per gli uomini è uno su quattro, il 26,6%.
Un fenomeno complesso, quello della disparità occupazionale di genere, ha spiegato il presidente dell’INAPP, l’Istituto Nazionale per le Analisi delle Politiche Pubbliche, Sebastiano Fadda, commentando i risultati presentati nel Gender Policies Report, che impone di “individuare i processi che portano a queste situazioni”.
«Occorre partire dalle origini – ha aggiunto il professor Fadda – iniziando dall’orientamento formativo della componente femminile fin dalle scuole medie, facilitando una scelta più frequente verso le lauree nelle discipline scientifiche e tecnologiche – le cosiddette STEM –, per arrivare a incidere su tutto l’insieme degli aspetti che consentono l’accesso, a parità di condizioni, al mercato del lavoro da parte delle donne».
Il riferimento spazia «dai servizi di supporto per la cura dei figli e degli anziani fino ai nuovi modelli di organizzazione del lavoro, con l’utilizzo concordato dello smart working, per arrivare all’adozione del part-time anche per mansioni altamente qualificate».
«Nella mia attività di docenza all’Università – ha spiegato Fadda – mi sono posto il perché della performance della componente femminile, che nella media dà risultati migliori. Chiesi spiegazione alle studentesse. La risposta fu che sapendo di partire da una situazione di discriminazione nell’accesso al lavoro, si impegnavano maggiormente rispetto ai colleghi maschi».
C’è poi «la questione della scarsa quantità e qualità dell’occupazione femminile nel nostro Paese che continua ad essere percepita come una questione di parte. La questione non è solo di pari opportunità di genere – ha aggiunto Fadda – ma di sviluppo economico di un Paese che continua a lasciare in panchina metà della sua formazione vincente».
I dati del Report Se dunque, per il Presidente dell’Inapp, occorre individuare misure «capaci di offrire soluzioni non soltanto di sistema, ma di lungo periodo, in grado di configurare modalità di presenza sul mercato del lavoro atte a scardinare quei meccanismi che al momento rendono difficile sia la partecipazione paritaria delle donne al mercato del lavoro, sia una distribuzione equa fra i diversi settori lavorativi della componente del pil», il Report snocciola i dati di oggi.
«Mentre il PNRR promette un’attenzione trasversale alla parità di genere in tutti i campi, la ripresa non sta favorendo le donne». Nel primo semestre del 2021 i nuovi contratti attivati sono stati 3milioni 322mila634. Di questi 2milioni 6mila617 andati a uomini e 1milione 316mila017, il 39,6% del totale a donne.
Soltanto poco più di uno su tre, il 35,5% sono stati sottoscritti da giovani under 30, mentre oltre il 45% si colloca tra i 30 e i 50 anni senza rilevanti differenze di genere. Per entrambe le fasce d’età prevalgono le forme contrattuali a termine, ma l’incidenza della precarietà e discontinuità è maggiore per le donne, con un ruolo prevalente della piccola impresa fino a 15 dipendenti. «Con la pandemia – ha spiegato Fadda – l’aumento delle diseguaglianze di genere è cresciuto e parte da un dato strutturale dell’occupazione che vede al 67,8% il tasso di occupazione degli uomini e al 49,5% quello delle donne».
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