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Lavoro minorile e abbandono scolastico vanno di pari passo. Sono 2,4 milioni gli occupati italiani, il 10,7% del totale, che hanno iniziato a lavorare prima dei 16 anni, soprattutto al Nord Italia, dove sono maggiori le opportunità occupazionali. Una condizione che è intervenuta a discapito del percorso formativo e professionale e che rischia ora di subire una recrudescenza, a causa della crisi generata dalla pandemia. Nel 2020 su 4,9 milioni di occupati con meno di 35 anni, più di 230mila, il 4,7%, dichiaravano di aver svolto un lavoro retribuito già prima dei 16 anni.

È quanto emerge dall’indagine della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro “Il lavoro minorile in Italia: caratteristiche e impatto sui percorsi formativi e occupazionali”. Secondo i dati accertati fra il 2018 e il 2019 dall’Ispettorato del Lavoro, ammontano a oltre 500 i casi di illeciti riguardanti l’occupazione irregolare di bambini e adolescenti, sia italiani che stranieri, convogliati principalmente nei servizi di alloggio e ristorazione, sebbene nel 2020 il dato si sia mostrato in calo di 127 casi, per effetto delle limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria.

Il presidente della Fondazione, Rosario De Luca, in occasione della celebrazione lo scorso 10 dicembre della Giornata mondiale dei diritti umani, ha lanciato un’allerta sulle conseguenze che l’incertezza del post-pandemia può determinare sul lavoro minorile, dopo la riduzione avvenuta nel corso degli anni. «È importante che si tenga alta l’attenzione su nuovi fenomeni di sfruttamento che potrebbero annullare i progressi ottenuti negli anni. È necessario un progetto trasversale in cui l’investimento in formazione e politiche attive si accompagni a una costante azione verso legalità ed etica del lavoro».

Con l’aumento nel 2020 delle famiglie in povertà assoluta, una fascia di popolazione di 5,6 milioni di persone, pari al 9,4% del totale, il deterioramento delle condizioni economiche, che impatta particolarmente sui minori, unito al rischio della ripresa di fenomeni di allontanamento e disaffezione dai percorsi formativi, avverte il report, può determinare «un impatto importante sul fenomeno del lavoro minorile. Lo svolgimento di un lavoro da parte di minori al di sotto dei 16 anni rappresenta un comportamento lesivo dei loro diritti, che finisce per ripercuotersi sulle loro prospettive formative, professionali, sociali e di vita».

Il titolo di studio: uno spartiacque

Il titolo di studio è lo spartiacque fra chi ha iniziato a lavorare prima dei 16 anni e chi no, rendendo evidente la correlazione tra lavoro minorile e abbandono scolastico, esistente per un lavoratore precoce su due, da cui si determina il futuro professionale. Con l’obbligo formativo di 10 anni introdotto nel 1999, il lavoro minorile tra le fasce più giovani si è molto ridotto, rispetto ai boomers e ai quarantenni: la quota è pari al 5,2% tra i 25-34enni ed è il 2,7% tra i 16-24enni. Chi inizia a lavorare prima dei 16 anni, in meno di un caso su due, il 46,5% dei casi, ha al massimo la licenza media. Soltanto l’11,2% del campione arriva alla laurea e solo il 17% arriva a svolgere una professione imprenditoriale, intellettuale o tecnica.

Fra gli under 35 “precoci”, oltre sei occupati su dieci al lavoro a 15 anni

Nel 2020 sugli oltre 230mila occupati under 35 che dichiaravano di aver svolto un lavoro retribuito già prima dei 16 anni, più di sei su dieci, il 64,7% ha iniziato a 15 anni, mentre più di un terzo in età ancora più giovane: il 27,7% a 14 anni, il 6,2% a 13 anni e l’1,3% prima dei 13 anni. Tra gli uomini, il 5,6% ha iniziato a lavorare prima dei 16 anni; tra le donne è il 3,4%, a fronte sia della maggiore propensione degli uomini ad abbandonare gli studi, sia di un più forte coinvolgimento nel sostenere le famiglie disagiate. Su 100 giovani con esperienza di lavoro minorile, 70 sono uomini e 30 donne.

Al Nord Italia si concentra il gruppo più consistente dei giovani che hanno iniziato a lavorare senza l’età legale, interrompendo i propri studi, probabilmente per le maggiori opportunità occupazionali del tessuto produttivo: il 5%, rispetto al 4,8% del Sud e al 3,8% del Centro. In Trentino Alto Adige (17,9%),Val d’Aosta (10,6%) e Sardegna (10,3%): è qui che il lavoro minorile attecchisce di più nelle attività stagionali (tempo libero, ricettività e ristorazione). Infine, se è vero che negli ultimi dieci anni l’incidenza del lavoro minorile tra i giovani è andata diminuendo, specie al Nord, dove è passata dall’11,6% al 5%, con valori scesi al Centro a quota 3,8% e al Sud al 4,8%, grazie al maggior contrasto dell’abbandono scolastico, il report avverte: bisogna tenere alta la guardia.


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