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IN questi lunghi mesi di stop e ripartenza, enti rappresentativi di questa o quella categoria di lavoratori e imprenditori hanno avuto modo di confrontarsi direttamente o indirettamente con la politica. Tavoli istituzionali di ogni tipo e dimensione; certo, quasi tutti sono tornati a casa scontenti ma, almeno, quasi tutti sono stati ascoltati avendo la possibilità di esprimere esigenze e punti di vista.
Ma nel paese della fuga di cervelli, dove continuamente si conta il numero di quelli che partono per realizzarsi altrove, esiste una categoria bistrattata e, oggi come non mai, dimenticata: quelli che restano; quelli che si rimboccano le maniche e hanno il coraggio di rimanere qui e provare a cambiare le cose. Ma voglio essere più specifica. All’interno di questa macro-categoria (che qualcuno in passato ha persino definito un gruppo di “bamboccioni figli di papà”) esiste un copioso numero di persone che non solo ha il coraggio di rimanere qui ma coltiva anche il – folle, vien da dire- sogno di lavorare al servizio della Nazione: i concorsisti. Quelli che, dopo aver conseguito una laurea, investono soldi, tempo ed energie per realizzare un sogno. Come tutti, del resto; non sono eroi né migliori di altri. A ciascuno le proprie scelte e le relative responsabilità. Il problema sorge quando a nessuno viene in mente di considerare le effettive esigenze di migliaia di giovani che da marzo vivono aggiornando la pagina della Gazzetta ufficiale, studiando per qualche prova che non si sa quando, come e dove si terrà.
La Dadone rilancia i concorsi pubblici 3.0: decentramento, modalità telematiche, competenze trasversali per l’efficienza della PA. Belle parole e buoni propositi; certo, sarebbe pure ora che la PA cominciasse ad avere una performance decente e che per avere ciò che mi spetta di diritto in tempi ragionevoli io non debba raccomandarmi con questo o quell’impiegato comunale o non debba litigare al telefono con il centralinista del C.U.P., stanco di ricevere tutte quelle telefonate al giorno (sic!).
Tuttavia, ci sono un paio di cose che vengono omesse. La prima è che esistono concorsi che erano già partiti, con bollettini pagati e anche alcune prove già espletate, ma di cui oggi è scomparsa ogni traccia. Gli aspiranti notai e magistrati avranno forse notizie a fine settembre. I futuri agenti della Polizia di Stato a fine ottobre. Rinvii su rinvii che sarebbero comprensibili se almeno non ci fossero incondizionati assembramenti senza mascherina nelle discoteche di tutte le località balneari d’Italia.
La seconda è che, in verità, uno dei primi concorsi in modalità post covid è stato bandito: concorso unico per 2133 funzionari amministrativi di ben 18 PA. Di innovazioni, però, ce ne sono poche. Le materie sono le solite (quiz di logica, matematica e comprensione del testo si vedono da anni). Per esigenze di celerità era previsto un termine breve di presentazione delle domande pari a 15 giorni, poi prorogati per problematiche della piattaforma online; ma non c’è da stupirsi considerato che il requisito di partecipazione è una laurea, qualsiasi. E quindi: boom di domande, down del sito web e, alla fine, un termine di 25 giorni in luogo dei classici 30. L’unica novità è che si è passati dai concorsoni a Nuova Fiera di Roma al concorso unico con prove decentrate dove, alla fine, c’è una sola graduatoria per più amministrazioni: il primo della lista sceglie e l’ultimo si becca quello che rimane, anche se non era la PA per cui aveva scelto di iscriversi.
Carne da macello dunque. Questo è il modo in cui veniamo trattati. Siamo bamboccioni che vogliono il posto fisso costi quel che costi e non ragazzi che possono rappresentare un ricambio generazionale nella martoriata pubblica amministrazione italiana! Grazie, a nome di tutti.
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