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Nell’era digitale anche il curriculum vitae rischia di andare in soffitta, almeno nella sua versione cartacea consegnata a mano oppure inviata via mail e poi stampata dal possibile datore di lavoro. Le nuove piattaforme di comunicazione offrono, infatti, un quadro più esauriente del candidato e un’analisi approfondita di aspetti spesso considerati marginali ma ormai decisivi nella valutazione dell’azienda: personalità, contenuti postati, persino le fotografie.
La selezione e la scrematura dei futuri dipendenti effettuata con questi mezzi prende il nome di social recruiting. E non si effettua – questa la novità – solo su Linkedin, ma anche su Instagram e Facebook, sia pur con numeri più bassi. Al fenomeno, qualche mese fa, è stata dedicata l’indagine “Works trends study”, realizzata da Adecco – fra le più grandi società internazionali di Human resource (Hr) – in collaborazione con l’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dallo studio emerge che sempre più recruiter cercano in rete informazioni sulla reputazione digitale dei candidati, cioè la cura del proprio brand personale. E che il 44,1% dei soggetti incaricati di cercare il personale più adatto a ricoprire determinate posizioni ha scartato almeno un profilo sulla base di una web reputation giudicata come non idonea.
Sorprendono alcuni elementi presi in considerazione nell’analisi dei profili social: non solo l’eventuale presenza di informazioni non coerenti con il curriculum inviato, ma anche: tratti emergenti della personalità, contenuti discriminatori, network scarso o profilo poco aggiornato, commenti negativi sui datori di lavoro. E qui occorre fare un passo indietro, proprio alla web reputation. Spesso consideriamo i social network un ambiente riservato, delimitato dal perimetro delle amicizie, delle conoscenze e dei rapporti familiari. Non è così, ovviamente. Ogni piattaforma è uno spazio pubblico che consente una circolazione potenzialmente illimitata di ciò che viene postato, ad esempio attraverso le condivisioni. Ecco che, allora, una presa di posizione particolarmente dura, un insulto al proprio capo attuale – sicuri che non ci legga – persino una discussione politica possono diventare particolarmente controproducenti.
Sul fronte dei social media utilizzati dagli Hr Linkedin è ancora in testa (il 74% vi ricorre nella sua attività), seguito dalla new entry Instagram (15%), Facebook (14%) e Twitter (11%). Quanto al tempo dedicato dai recruiter alla ricerca di candidati online, la previsione (prima dell’epidemia) era di passare dal 45,1% del 2019 al 55,7% del 2020. Ma il dato potrebbe crescere viste le prescrizioni sul distanziamento sociale stabilite dalle normative anti Covid.
I profili più ricercati sul web sono quelli legati al settore marketing. Poi troviamo information technology, comunicazione e pubbliche relazioni, ricerca e sviluppo e vendite. Online si va soprattutto a caccia di profili non manageriali (si passa dal 12% del 2015 al 28,3%) del 2019. Cala, invece, la ricerca dei middle manager (dal 44 al 39,3%) e dei senior manager (dal 40 al 32,7%). «L’impatto dei canali social sull’attività di scouting degli hr e sulla ricerca di un lavoro da parte dei candidati è in crescita costante – ha commentato Cristina Cancer, Head of talent attraction and academic partnership di Adecco – La rapida evoluzione del mondo del lavoro e l’affermazione dei canali digitali in tutte le attività quotidiane sia professionali che personali sta cambiando radicalmente le abitudini non solo di chi cerca un lavoro, ma anche dei professionisti che si occupano di risorse umane».
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