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Oggi le diamo per acquisite ma, in realtà, sono una conquista piuttosto recente, le Ferie attive, ecco una breve storia delle vacanze pagate

“Se fossi un medico, prescriverei una vacanza a tutti i pazienti che considerano importante il loro lavoro”, scriveva il filosofo Bertrand Russell, quando ancora la vacanza era intesa come un dolce far niente. E sì, se il problema del secolo scorso era staccare dal troppo lavoro, in questa società, dove avere un lavoro sembra quasi un lusso, la vacanza ha subito profonde e irreversibili trasformazioni. Eppure è una tradizione antica, il primo atto ufficiale al riguardo, denominato “Bank Holiday Act”, fu approvato in Inghilterra nel 1871 e sanciva quattro giorni di ferie per i dipendenti delle banche in Inghilterra, Galles e Irlanda.

Lo Stato che per primo ideò un periodo di ferie “pagate” esteso a tutti i lavoratori fu invece la Francia; la legge venne promulgata dal Fronte Popolare il 20 giugno 1936. L’Italia lo ha sancito addirittura con l’articolo 36 della nostra Costituzione, che recita nella sua ultima riga: “Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”. E, per un lungo periodo, vacanza fu (quasi) per tutti.

Quando esplose il boom economico, negli anni a partire dai ’60, tra le file di macchine lungo strade e autostrade, capitava d’incontrare automobili che sul tetto avevano sistemato l’intera mobilia della casa di città, cuscini compresi, per non farsi mancare il comfort nel luogo di vacanza.

C’erano pensioncine improbabili ma economiche dove ti accatastavano, con figli, moglie e suocera annessa, in un loculo con sette letti di otto metri quadrati. Ordinati bisognava stare, disciplina militare, alle otto al mare, alle dodici pranzo, sonnellino obbligatorio per i più piccoli, per toglierseli dalle scatole almeno un’ora al giorno, e poi di nuovo al mare fino a sera, un due, un due, un due, marciare, passeggiata serale con gelato e poi tutti a dormire. E se ti portavano in montagna erano marce vere e proprie, escursioni, con i tuoi genitori che, dopo dieci chilometri sotto al sole, ti invitavano ad apprezzare un raro angolo di natura, che tu avresti reso ancora più raro dandogli fuoco, mentre cercavi di riprendere fiato, rimpiangendo i pigri pomeriggi al bar con gli amici.

Poi vennero i cosiddetti “fricchettoni”, da freak, bizzarro, quei tipi con i capelli lunghi, idee di pace universale e uguaglianza tra esseri umani, oltre a qualche sigaretta “modificata” in dotazione, che facevano autostop con pochi soldi in tasca, la cui destinazione della vacanza dipendeva un po’ da dove andava chi offriva loro un passaggio. Dilagarono in seguito i campeggiatori con tenda, le famiglie col camper, gli amanti dell’avventura in luoghi esotici. Per contrasto qualcuno iniziò a frequentare eremi, pur di non incontrare la massa turistica in giro e raccogliersi nei propri pensieri.

Cambiarono le mete turistiche, si evitavano i posti affollati, viaggiare diventò un po’ scoprire se stessi e i continenti divennero più vicini all’idea che abbiamo oggi del mondo globale, a portata di aereo. Il turismo, potremmo dire se fossimo snob, è diventato un’industria che consiste nel trasportare delle persone che starebbero meglio a casa loro, in posti che sarebbero migliori senza di loro.

Terminati i soldi però, crisi dopo crisi, con la fine del mondo legato al posto fisso che concedeva al lavoratore periodi di ferie retribuiti, il nostro costume in materia di vacanze si è trasformato del tutto. L’era dei supporti digitali ha avuto un ruolo primario nel fare in modo di non recidere mai i rapporti con il lavoro durante la vacanza. Una ricerca dell’Osservatorio Hr Glickon ci racconta che, anche se in ferie, oltre il 40% dei lavoratori controlla le email mentre il 20% dichiara di sentirsi in dovere di essere reperibile e disponibile tanto da portare in valigia con sé pc e telefono aziendale.

La tecnologia ha dato il colpo di grazia alla vacanza come alternativa al lavoro e persino all’organizzazione stessa della vacanza. Pensiamo agli strumenti per organizzare le ferie. Oggi l’algoritmo lo sa meglio di te dove vuoi andare e quanto puoi permetterti di spendere. Possiamo esplorare le località dove intendiamo andare con le app e i dispositivi smart, prenotare, pianificare, sapere prima di partire dove affitteremo una macchina a Singapore, anche se non riusciamo a trovare un meccanico aperto sotto casa nostra.

Vacanze pianificate fino a non lasciare nessuno spazio all’improvvisazione, la marcia implacabile tra orari di treni, coincidenze di aerei, vacanze che al ritorno a casa ti fanno desiderare qualche giorno di riposo, per riprenderti fisicamente e psicologicamente dallo stress. In attesa della prossima frontiera delle “vacanze-non-vacanze”, l’utilizzo di visori VR, la realtà virtuale, tramite i quali il viaggiatore potrà esplorare virtualmente destinazioni, siti storici o attrazioni turistiche.

Ai giovani, soprattutto, è fatto divieto di riposo assoluto: sono invitati a partecipare a campi di formazione e lavoro, dove possono acquisire competenze utili per il loro futuro. Le loro vacanze diventano il contrario dell’ozio, un’opportunità per crescere e svilupparsi personalmente, sfidando il concetto stesso di “non fare nulla”. Talvolta i campi di formazione giovanile sono finanziati direttamente da associazioni padronali, come Confindustria, a dimostrazione che il loro scopo ultimo non è soltanto il riposo.

Lo svago sembra ormai una sorta di peccato mortale, se non è accompagnato da una qualche occupazione. Secondo le stime dell’Unwto, organizzazione mondiale per il turismo, passata la grande paura della pandemia da Covid, gli under 35 nel mondo fanno circa 320 milioni di viaggi internazionali ogni anno. Il 22° Holiday Barometer Ipsos-Europ Assistance ha calcolato che i giovani tra i 18 e i 24 anni che faranno le vacanze all’estero per il 73% varcheranno i confini nazionali e la meta più gettonata è la Spagna, scelta dal 15% del campione, seguita da Francia e Grecia. Il budget medio, ci dice la stessa ricerca, si aggira intorno ai 1.800 euro a persona, ma dalla poesia di Trilussa “La Statistica” in poi, sappiamo che qualcuno ne spenderà 3.600 e qualcun altro niente, non potrà proprio permettersi le vacanze.

Molte famiglie non dispongono delle risorse finanziarie necessarie. Il mondo del lavoro è cambiato, con l’aumento dei contratti precari e a tempo determinato o, peggio, il lavoro nero, che rendono difficile trovare periodi prolungati per concedersi una pausa. Nel 2020, c’informa Save the Children, il 71% dei minorenni in Italia, più di 2 su 3, quasi 7 milioni di bambine, bambini e adolescenti, non è andato in vacanza fuori casa per almeno 4 giorni. L’articolo 36 della Costituzione per loro non vale.

L’ultimo rapporto Confcommercio-Swg ci spiega che a muoversi quest’anno saranno 30 milioni di italiani, generando un volume d’affari nell’ordine di 45 miliardi di euro. Ne restano però altri 25 milioni di italiani, che la vacanza non potranno permettersela. Di questi la metà sono giovani tra i 18 e i 32 anni, che per il 25% approfitteranno delle vacanze altrui per fare lavori che sempre con il turismo hanno a che fare, i cosiddetti “stagionali”. Quelli a cui “imprenditori” con pochi scrupoli offrono 600 euro al mese per 6 giorni lavorativi di dieci ore alla settimana. Eppure, molte ragazze e ragazzi si rimboccano le maniche e, pur di non gravare sul bilancio familiare, accettano questa ingiustizia.

C’è contraddizione tra il bombardamento di inviti a evitare lo stress sul lavoro, di cui sono prodighe le pagine “salute” dei giornali, e la modalità di stress che avvolge i periodi forzati di non lavoro. In realtà viviamo tutti in questi ultimi anni una tale insoddisfazione di fondo che pochi giorni di pausa non riescono a placare e, anzi, si riproduce anche dove andiamo. Allora, per riscoprire il valore del riposo, facciamo nostra l’invocazione del filosofo Paul Lafargue, che nel pamphlet “Il diritto all’ozio”, scriveva: “Oh Pigrizia, madre delle arti e delle nobili virtù, sii il balsamo delle angosce umane!”.


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